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Baleari: naufragio Don Pedro

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Baleari: naufragio Don Pedro

ROMA – Ogni giorno circa 2500 imbarcazioni, di cui 300 petroliere, attraversano il Mediterraneo. Il 28% del traffico globale di petroliere attraversa il Mare Nostrum, che però rappresenta appena 1% della superficie marina globale. L’incidente della Don Pedro lungo le coste della Spagna assume una attenzione maggiore alla luce di questi dati, che secondo il WWF impongono l’impegno internazionale nel rispetto delle regole, nel incentivo all’utilizzo delle tecnologie trasportistiche più avanzate e che danno maggiori sicurezza.

Il Mediterraneo è il mare chiuso più grande del mondo, ha una percentuale di specie endemiche, il 20% del totale, seconda solamente ai mari tropicali, con numerose specie di cetacei e specie in pericolo di estinzione come la foca monaca. Non solo, il ricambio completo delle acque avviene in circa 80 anni.
Una situazione di estrema attenzione, ma nonostante ciò uno studio del WWF stima che tra le 700.000 e l.500.000 milioni di tonnellate di idrocarburi finiscano nel Mediterraneo ogni anno, scaricate in modo legale, per cause accidentali come l’episodio di ieri della nave mercantile Don Pedro, oppure con attività deliberatamente illegale per evitare costi di smaltimento.
Si pensi che ogni settimana, nel Mediterraneo, 20mila tonnellate di idrocarburi, provenienti dai lavaggi delle petroliere oppure dal cosiddetto sludge (rifiuti liquidi oleosi o fanghi dovuti alla perdite di carburante e residui oleosi delle imbarcazioni, siano esse Cargo, navi passeggeri oppure petroliere) viene versato in mare, in pratica ogni anno finiscono in acqua 50 volte il quantitativo del disastro della petroliera Erika, spezzatasi nel 1999 al largo delle coste francesi.

Purtroppo la maggior parte delle acqua del Mediterraneo sono considerate acque internazionali e quindi esulano dalla giurisdizione dei singoli stati, mentre la legislazione e gli strumenti internazionali sono insufficienti a mantenere il controllare e a sanzionare i comportamenti illeciti
Le isole Baleari non sono a rischio solamente in quest’occasione né il danno è limitato al comparto turistico che ha acceso i riflettori dei media sul disastro.Infatti le Baleari fanno proprio parte delle 9 aree del Mediterraneo ad alto rischio, che il WWF ha identificato in base alla ricchezza della biodiversità presente e la loro posizione geografica in relazione alle principali rotte petrolifere. Assieme al Mare di Alboran, nei pressi dello Stretto di Gibilterra, al cosiddetto Santuario dei Cetacei, al canale di Sicilia e lo stretto di Messina, all’intero mare Adriatico, alle isole Ioniche della costa balcanica, al mar Egeo e lo stretto dei Dardanelli, la mar libico davanti alla Cirenaica, la baia di Iskenderun e le acque tra Turchia e Cipro rappresentano 9 gioielli i cui ecosistemi sono messi a rischio ogni giorno, tutto l’anno.

Dopo il lancio dell’iniziativa per l’obbligatorietà delle petroliere a doppio scafo, per risolvere questo problema il WWF ha proposto alla Organizzazione marittima Internazionale (IMO) è la creazione di aree marine particolarmente sensibili (Particularly Sensitive Seas Areas – PSSA), in grado di dare risposte efficaci e creare una regolamentazione apposita che possa includere: il bando delle imbarcazioni a singolo scafo; la creazione di rotte di traffico separate; l’obbligatorietà della sorveglianza satellitare al fine di impedire lavaggi illegali in acque internazionali; l’obbligatorietà del controllo radio come il Vessel Traffic Monitoring System (VTMS) in grado di gestire il traffico marittimo al pari di quello aereo; un pilota esperto a bordo ogni volta che è previsto l’attraversamento di queste aree sensibili.