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Il futuro della cultura politica

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AREZZO – Peccato che negli ultimi decenni sia diventata terra di ideologia, ch’è cosa assai diversa e che allontana la Toscana dal resto del mondo dove intanto succedono altre cose.

La visita di Marcello Dell’Utri (con la D maiuscola) ad Arezzo sabato prossimo 8 settembre è l’occasione per restituire un pò di respiro culturale al dibattito politico di questa città (che definire sterile è un complimento) e ci ricorda che la Sicilia e la Toscana hanno radici culturali comuni almeno fin dai tempi in cui Federico II di Svevia ospitava a corte Jacopo da Lentini che Dante definisce il precursore del Dolce Dolce Stil Novo, di cui egli stesso sarebbe divenuto il più illustre rappresentante.

Quale migliore occasione dunque per gettare la prima pietra nello stagno e aprire da subito le danze del dibattito.

Il futuro della politica è strettamente connesso all’evoluzione della cultura e quindi per capire dove andiamo a parare dobbiamo prendere atto di una grossa novità: è fallita la stagione dei diritti (Stefano Fontana “Per una politica dei doveri dopo il fallimento della stagione dei diritti”. Ed. Cantagalli, Siena).

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace del 1 gennaio 2003, Giovanni Paolo II aveva fatto notare che mentre è stata cospicua nel nostro tempo la riflessione sui diritti umani, lo è stata meno quella sui doveri dell’uomo.

Il dovere stabilisce l’ambito entro il quale i diritti devono contenersi per essere quello che sono e non rivendicazioni arbitrarie.

I doveri forniscono ai diritti “la base morale” del loro riconoscimento e li fanno dipendere non da un individuo o da un gruppo ma da un ordine condiviso delle cose.

Due anni dopo queste affermazioni, il Cardinale Joseph Ratzinger parlando di diritti umani a Monaco di Baviera diceva qualcosa di molto simile: “Forse oggi la teoria dei diritti umani dovrebbe essere integrata da una dottrina dei doveri umani e dei limiti umani”.

Nel mondo cosiddetto progredito si moltiplicano diritti avanzati, diritti “all’ultima moda” e perfino eccentrici.

Contemporaneamente in altre parti del mondo, si fatica ancora a godere dei diritti elementari all’acqua pulita, a una ciotola di riso, a una vita decente.

Mentre le società occidentali si svuotano per la denatalità che tradisce una visione strumentale e egoistica dei diritti, in quelle medesime società si insiste a contrapporre i diritti dell’individuo a quelli della famiglia, il diritto all’autodeterminazione della donna al diritto alla vita del concepito, il diritto degli omosessuali a quelli di marito e moglie.

La trasformazione del desiderio in diritto si sposa con l’accettazione della tecnica intesa nella sua nudità.

L’istintività del principio del piacere si sposa con l’efficienza tecnica. Il nuovo diventa il buono, il possibile diventa il lecito, l’essere coincide con il potere essere fatto, il mistero diventa problema.

Quando il diritto è inteso solo come diritto; quando soprattutto esso è inteso solo come un “mio” diritto, la storia del diritto è già finita.

In questo sta propriamente il fallimento della stagione dei diritti.

La stagione dei diritti è ormai finita, sopravvive solo per le ingenti risorse che l’apparato dell’ideologia dei diritti ha messo e mette in campo a proprio sostegno.

Tutto ciò mina dalle fondamenta le basi della convivenza civile per due motivi:

a)perché la proliferazione dei diritti fa sì che le società perdano la propria identità culturale e quindi non siano più in grado di favorire processi di riconoscimento reciproco eticamente fondato;

b)perché le risorse sprecate per alimentare la rendita parassitaria delle moltitudini che prosperano dentro l’apparato della ideologia dei diritti, provocano gli squilibri di finanza pubblica di cui oggi stiamo vedendo gli effetti sotto forma di una pressione fiscale eticamente insostenibile (a fronte di servizi pubblici inadeguati) e di una protesta fiscale che monta con caratteri quasi “eversivi”.

A tutto ciò deve urgentemente dare una risposta la politica.

Tuttavia l’unica politica destinata ad avere un futuro è quella che riuscirà ad intercettare il malessere crescente nella società a causa delle distorsioni provocate dalla ideologia dei diritti e che saprà declinare le seguenti cinque parole chiave (Giulio Tremonti).

A) Autorità. E' scomparsa l'autorità. Il '68 ha infatti portato con sé la morte dell'autorità. Noi invece vogliamo più autorità nella vita pubblica.

B) Responsabilità. Per l’ideologia dei diritti tutto è statale e perciò tutto è legale. Assolto il dovere fiscale (forse), sei liberato dai doveri sociali. Dagli antichi doveri verso te stesso, verso la tua famiglia, verso la tua comunità. Per l’ideologia dei diritti tutta la società si identifica infatti verso l'alto, con lo Stato. La sua visione è totale e verticale. Il disegno sociale è quello rigido, tecnico, tipico di un grande vecchio “mainframe computer”. All'opposto, il nostro disegno politico riflette la struttura reale ed attuale della società in cui viviamo e per questo non è solo verticale, è anche orizzontale, flessibile, federale nel senso radicale del “foedus”. In questi termini è un disegno che segue il tracciato di “internet”. Non solo esistono gli individui. Non solo esiste lo Stato. Esistono anche nell'intermedio, le famiglie e le comunità. La formula politica nuova ed unificante è proprio in questa dimensione. Una visione che è insieme vecchissima e nuovissima. Che è insieme sociale e morale. In una parola è nel senso politico generale proprio della parola responsabilità.

C) Valori. Il nostro problema non è creare, come in un progetto di una ingegneria sociale e di mutazione genetica, valori nuovi e post-moderni. Il nostro problema, in una età di crisi universale, è quello di conservare valori che per noi sono eterni.
 Rispetto al consumismo, noi preferiamo il romanticismo. Non i valori dei banchieri centrali, ma i valori dei nostri padri spirituali. Un esempio per tutti: il nostro contrasto politico all'idea post-moderna della “famiglia orizzontale”, che da noi dovrebbe prendere forma con i DICO alias CUS. Non è questione di essere religiosi o laici. Il Dico sublima infatti la cultura del consumismo. Consente di passare, come su una piattaforma girevole, dal consumo delle cose al consumo dei rapporti, delle relazioni e dei sentimenti in nome della nuova ideologia delle liberalizzazioni. L'essenza del Dico, matrimonio pop, è nella banalizzazione. Non è nemmeno più necessario salire al piano di sopra del Municipio: è sufficiente fermarsi al pian terreno in sala anagrafe per fare shopping giuridico, per consumare al banco un prodotto tipico di questo tempo. Immersi come moltitudine nella solitudine dell'effimero. Un prodotto a bassa intensità morale, e per questo un prodotto che ha un plus rispetto al matrimonio religioso o civile, così demodè nella liturgia, soprattutto così carico di fastidiosi vincoli e doveri… A questa visione si oppone, e francamente credo che debba essere opposta, una visione antica e forte della società, fatta da principi e da doveri.

D) L'identità. La difesa dell'identità è la difesa delle nostre diversità tradizionali, storiche e basiche: famiglie e «piccole patrie», vecchi usi e consumi, vecchi valori. Al fondo c'è qualcosa di molto più intenso che una parodia bigotta della tradizione. E' un misto di paura e di orgoglio, una riserva di memoria, un retroterra arcaico e umorale che negare, comprimere o sopprimere, non solo è difficile. E' dannoso. Saremo infatti più forti, nel futuro, solo se saremo più ancorati al nostro passato.

E) Ordine (Legge & Ordine). Non servono nuove figure di reato. Serve la concreta ed anche territoriale applicazione di quelle che già ci sono. Ed è questo, della Legge & Ordine, il campo più difficile, su cui la politica deve principalmente lavorare. Nell'insieme dobbiamo dunque e possiamo reagire alla dittatura del relativismo. dittatura di tipo soft, ma pur sempre una dittatura.

Non c’è futuro per la politica fuori da queste cinque linee di pensiero e azione. E’ questo l’unico contributo che oggi una cultura politica umanamente ispirata può dare alla società degli uomini.