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Oltre 5000 scienziati per studiare la terra

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Oltre 5000 scienziati per studiare  la terra

Terremoti, siccità, tempeste e vulcani, ma anche le risorse ambientali per migliorare la vita nei Paesi in via di sviluppo. Circa 7.000 scienziati provenienti da 80 Paesi ne parleranno durante la XXIV assemblea di Iugg (International Union of Geodesy and Geophysics) dedicata al tema “La Terra: il nostro pianeta che cambia”, a Perugia dal 2 al 13 luglio 2007. L’assemblea è stata presentata oggi a Roma presso la sede del Consiglio nazionale delle ricerche da Lucio Ubertini, presidente del Comitato organizzatore di Iugg e direttore dell'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) del Cnr, da Giuseppe Cavarretta, direttore del Dipartimento Terra e Ambiente del Cnr, e da Franco Prodi, direttore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac-Cnr).
Iugg è un’organizzazione non governativa e no profit che riunisce sette associazioni internazionali e interdisciplinari di scienze della Terra, e che promuove e sostiene la ricerca scientifica. A Perugia sono attese per due settimane circa 10.000 presenze e si terranno oltre 220 convegni e incontri. “Avere ottenuto che si tenga in Italia, dopo più di cinquanta anni dall’edizione inaugurata a Roma da Papa Pio XII, è un successo per l'intera comunità scientifica nazionale”, spiega il prof. Ubertini. “La partecipazione è imponente, si sono iscritti studiosi persino da Yemen, Botswana, Isole Fiji e Comore. Inoltre, dai titoli si intuisce la forza di studi quali quelli su prevedibilità degli eventi calamitosi, variazioni climatiche globali, influenza della radiazione solare sull’ecosistema, mutazioni ed inversioni del campo magnetico terrestre. Ma non mancano lavori come “ghiaccio extraterrestre” o “magnetismo extraterrestre”. Verrà inoltre sancita una nuova associazione in seno alla IUGG, l’UCCS (Union Commission Cryospheric Sciences)”.
L’Assemblea Iugg si inserisce in un momento di ampia e alta attenzione per le tematiche ambientali, quali il deficit di risorse idriche. Spiega Ubertini: “Se il rischio di desertificazione per l’Italia è, in realtà, difficilmente realizzabile, è invece possibile un aggravamento del deficit idrico di alcune zone. In Europa tale deficit nel 2003 ha causato oltre 10 miliardi di euro di danni e il depauperamento idrico è stato anche causa di un peggioramento qualitativo dell’acqua dovuto al minor tempo di ritenzione e depurazione naturale. E’ necessario, pertanto, individuare modalità di prevenzione e mitigazione dei consumi: negli ultimi 100 anni, il fabbisogno giornaliero in Italia si è innalzato da 50 fino a 500 litri per persona e in media nei Paesi mediterranei la domanda è raddoppiata negli ultimi 50 anni e ha raggiunto i 290 miliardi di m3 annui. Gli incrementi più elevati sono in Turchia, Siria e Francia, e le previsioni al 2025 stimano una crescita del 25% dei consumi in Turchia, Siria ed Egitto. L’uso irriguo rappresenta circa il 65% del consumo idrico per i Paesi mediterranei, anche conseguentemente all’aumento delle aree irrigate passate negli ultimi 40 anni da 11 a 20 milioni di ettari (in particolare in Turchia e in Spagna). L’approvvigionamento idrico deve diventare, quindi, una priorità assoluta, soprattutto attraverso la manutenzione delle reti che in Italia presentano perdite con punte del 40%”.
L’assemblea di Perugia sarà anche l’occasione per focalizzare meglio aspetti già dibattuti in altre sedi internazionali. Ad esempio, il quarto Assessment Report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) prevede che l’innalzamento medio del livello marino alla fine del 21° secolo varierà da 0.18 a 0.59 metri. “Studiare il passato può però fornire una prospettiva”, spiega nel suo abstract per l’assemblea Yury Barkin dello Sternberg Astronomical Institute di Mosca. “Globalmente, durante l’ultimo periodo interglaciale (LIG) che durò da 130 a 116 mila anni fa, il livello marino era superiore dai 4 ai 6 metri a quello di adesso e i dati indicano che l’Artico fosse più caldo di oggi, con una enorme riduzione dei livelli marini nelle acque costali intorno all’Alaska e lo scioglimento di quasi tutti i ghiacciai nell’Emisfero del Nord. La foresta boreale si estendeva in aree ora occupate da tundra nell’interno dell’Alaska e della Siberia. Le calde estati artiche durante la prima metà del LIG furono causate dai cambiamenti nell’orbita e nell’inclinazione terrestre, che intensificarono le radiazioni solari. I calcoli eseguiti su modelli mostrano estati artiche dai 3 ai 5 gradi più calde di oggi, specialmente sopra e vicino la Groenlandia, e temperature di superficie massime quotidiane durante le estati sopra il congelamento su tutta la lastra glaciale della Groenlandia, che aveva una dimensione più ridotta”.
Le misure del cambiamento del livello marino globale saranno anche al centro del lavoro di Simon Holgate, oceanografo del Laboratory Joseph Proudman di Liverpool. Negli ultimi dieci anni è stato rilevato, attraverso l’altimetria, che il livello marino ha avuto un tasso di aumento di 3,2 mm l’anno, significativamente maggiore del tasso medio del ventesimo secolo calcolato da un insieme di livelli di marea in circa 1.8 mm/anno. “Questo porterebbe a ritenere che l’aumento del livello marino sia accelerato”, osserva Volgate, aggiungendo però che “i tassi decennali del cambiamento del livello marino durante il XX secolo provenienti da due ricostruzioni basate su differenti metodologie – Holgate (2007) e Church and White (2006) – comparati con quelli altimetrici danno riscontro che il tasso di cambiamento del livello marino dell’ultima decade non è il più alto rispetto al XX secolo e dunque non vi sono prove di tale aumento”.