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Torre Amundsen-Nobile: contributo alla ricerca sul Polo Nord

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ROMA – Oggi a Roma, presso l’Aula Marconi del CNR, si è tenuto il convegno L’Italia del Polo Nord, una nuova prospettiva di ricerca in Artico, organizzato dal Dipartimento Terra e Ambiente al Consiglio Nazionale delle Ricerche (DTA-CNR). L’evento ha visto la presenza dei sottosegretari del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, On. Giuseppe Pizza, del Ministero Affari Esteri, On. Enzo Scotti, del Ministero per l’Ambiente, On. Roberto Menia, e dell’On. Ermete Realacci della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati.
Durante il convegno è stata presentata una nuova installazione italiana, la torre per studi climatologici denominata “Amundsen-Nobile Climate Change Tower (CCT)”, che verrà eretta presso Kolhaugen, a circa 2 chilometri da Ny-Alesund. La CCT s’inserisce fra le attività di Polarnet, il Network Polare del CNR, e costituisce un significativo contributo all’Anno Polare Internazionale. Alta 30 metri, realizzata interamente in alluminio, sarà operativa da giugno 2009 e consentirà di svolgere ricerche scientifiche sui processi fisico-chimici che caratterizzano lo strato di atmosfera a contatto con il suolo e la neve (interfaccia) e quello immediatamente superiore (strato limite e bassa troposfera), aree fondamentali per il bilancio di energia del pianeta.
“A distanza di oltre dieci anni dall’inaugurazione della stazione di ricerca di Ny-Ǻlesund nell’arcipelago delle Svalbard”, afferma il presidente del CNR, prof. Luciano Maiani, “e dall’avvio del Progetto Strategico del CNR nell’Artico, in cooperazione con università ed altri enti di ricerca, possiamo affermare che la decisione di assumere quest’impegno è stata vincente e ha offerto al nostro Paese un’opportunità che va ben oltre la presenza scientifica, rendendolo partecipe di un processo economico e politico internazionale che considera sempre di più questa regione strategica per gli equilibri del Pianeta”.
“L'Artico è la regione ove le conseguenze dei cambiamenti climatici in atto sono maggiormente sensibili”, conferma Giuseppe Cavarretta, direttore del DTA-CNR. “Basti pensare che, mentre su scala globale negli ultimi 20 anni si è avuto un aumento medio di 0,57° C, in Artico si è valutato un incremento di 1,1° C, cioè due volte tanto. Già questa osservazione è sufficiente a qualificare l'Artico come un early warning system, cioè un sistema di allarme precoce di cambiamenti a scala globale”.
Ma il riscaldamento non è il solo aspetto rilevante. “Infatti, lo scioglimento del permafrost, cioè quella porzione superficiale di suolo oggi perennemente ghiacciato”, continua Cavarretta, “può accelerare in misura notevole il riscaldamento globale causato dai gas serra in conseguenza del rilascio del metano trattenuto nel materiale organico ghiacciato, che produce un effetto serra molto più potente di quello della CO2”.
Altro elemento di preoccupazione deriva dal monitoraggio dei ghiacci polari artici: “L'estensione della banchisa artica nel 2008 ha raggiunto il suo minimo il 12 settembre, con un’estensione di 4.52 milioni di chilometri quadrati”, spiega Vito Vitale dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR di Bologna e coordinatore scientifico del progetto CC-Tower. “Il minimo del 2008 rappresenta la seconda minore estensione mai registrata a partire dal 1979, anno in cui iniziano le osservazioni sistematiche dal satellite, ed è solo di poco più grande del minimo assoluto raggiunto nel 2007 con 4.3 milioni di chilometri quadrati. Considerando che la media 1979-2007 è di 6.7 milioni di chilometri quadrati, è evidente il trend di riduzione della banchisa artica durante l'estate”.
L'estensione non è, comunque, l'unico parametro da osservare, in quanto sono anche importanti sia la distribuzione spaziale della banchisa, sia l'età del ghiaccio. “Tutti questi parametri insieme indicano che la banchisa continua ad assottigliare il suo spessore e a presentare sempre maggiore presenza di ghiacci più recenti e soggetti a scioglimento”, prosegue il ricercatore dell’ISAC-CNR.
È stato stimato che dagli attuali 20-30 giorni all’anno di apertura dell'Artico per la navigazione si potrà passare a 3-6 mesi annui nel 2080. Alcune previsioni indicano che fin dal 2040 il ghiaccio artico potrebbe iniziare a mancare del tutto per brevi periodi. Tali esercizi teorici presentano però un margine di incertezza troppo ampio: le variazioni non sono univoche e vi possono essere oscillazioni molto forti da un anno all'altro per quanto riguarda l’estensione dei ghiacci. “Dobbiamo imparare molto di più su tutti i complessi processi che caratterizzano il sistema per essere in grado di poterli riprodurre nei modelli climatici in modo realistico e aumentare l’affidabilità di queste previsioni”, conclude Vitale.
Da questo punto di vista, la CC-Tower, data anche la sua altezza di 30 metri, si presta bene per l’analisi delle interazioni fra superficie e atmosfera, fondamentali nel mantenimento dell’equilibrio del sistema. L’importanza della Torre Amundsen-Nobile per la rilevazione predittiva delle variazioni dei ghiacci artici e per la loro possibile scomparsa deriva dalla necessità di abbinare alle reti di stazioni distribuite spazialmente siti dove concentrare molte misure.
Roberto Azzolini, coordinatore di Polarnet, spiega che il progetto CC-Tower, “si propone di realizzare un’attività di ricerca ad ampio spettro: dai profili verticali dei principali parametri meteorologici come pressione, temperatura e umidità, ai flussi di calore, fino al bilancio di energia alla superficie, passando per la misura della riflettività di neve, ghiaccio, roccia, vegetazione e per lo studio della copertura nuvolosa e delle caratteristiche di aerosol e gas superficiali”. Lo scopo di queste attività, coordinate dal CNR in collaborazione con varie Università italiane, è studiare il rapporto fra l’energia alla superficie e quella atmosferica per monitorarne l’equilibrio, prevenire il ‘riscaldamento globale’ e mitigarne gli effetti. “A causa dei cambiamenti climatici, dovuti alla combinazione di cause naturali e di attività dell’uomo, molte delle specie esistenti potrebbero estinguersi nell’arco dei prossimi 50 anni”, avverte Guido di Prisco dell’Istituto di Biochimica delle Proteine del CNR. “Questa allarmante conclusione richiama strategie urgenti tese da un lato a ridurre l’accelerazione del riscaldamento dovuta a fattori antropici, e dall’altro a studiare l’impatto che i cambiamenti stanno avendo sugli adattamenti degli organismi marini artici, anche in paragone con quelli antartici”.