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Madonna del Conforto: omelia dell’Arcivescovo Riccardo Fontana

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Madonna del Conforto: omelia dell’Arcivescovo Riccardo Fontana
Madonna Conforto - Riccardo Fontana

Arezzo – Con la consolazione con la quale siete stati consolati, consolate anche voi chi è nella tribolazione, così ci chiede di fare l’Apostolo Paolo (II Cor 1,4). Non c'è esperienza cristiana che non passi per questo ponte. Se davvero tu hai incontrato Dio, se ti sei imbattuto nella tenerezza della Madonna del Conforto, non puoi non partecipare agli altri quello che hai sperimentato: ai vicini di casa, ai figli della generazione che viene dopo la tua, agli amici, alla gente con la quale si fa città insieme. Questo è il tesoro prezioso, che ha valore solo se condiviso. Questa è l'identità aretina.
Il continuo pellegrinaggio di questi ultimi 10 giorni ha portato davanti all'immagine prodigiosa della Madonna di Provenzano, la nostra Madonna del Conforto, decine di migliaia di persone. Sono venuti anche i bambini; ma anche più di 270 barellati, i malati disabili, quelli che nessuno porta a spasso. Com'è potuto avvenire? La gente si è accorta che si può fare un gesto d'amore. Così come hanno fatto più di 150 giovani coppie che, mano nella mano, si sono arrampicati accanto alla terracotta della Madonna del Conforto, sopra l'altare. Che si saranno detti quei ragazzi e quelle ragazze!? Ma l'amore, forse, non è parte del tesoro del popolo cristiano?
La Madonna del Conforto: 1796, era quest'ora forse, dopo il lavoro. La Madre di Dio non parlò ne' ai potenti, ne' ai ricchi della città. Due poveri operai, che dopo aver faticato una giornata intera, mentre la società aretina era disperata e sconvolta per il terremoto che non finiva mai – io ci sono passato e so cosa vuol dire – le si rivolsero accorati. A porta San Clemente, quell'immaginuccia dei Camaldolesi cominciò a splendere. Arezzo capì: capirono tutti.
Ma basta raccontare del terremoto antico, oppure questa è la buona occasione per dirci dei sovvertimenti che sono in atto? In questa società così accelerata, nel tempo di una sola generazione, siamo passati dalle mutazioni fisiologiche della storia, al capovolgimento dei principi che hanno costruito l'ordine sociale per secoli. Se non stai attento, non si sa più quello che è giusto e quello che è sbagliato, quello che è da sperare e quello che è da deprecare. Per questo si sta espandendo a macchia d'olio una grande incertezza, soprattutto tra i più giovani e chi potrebbe dire, tace o confonde ancor più le idee.
La Madonna del Conforto, non è la Madonna della rassegnazione, miei figli e mie figlie. In quest'anno abbiamo fatto insieme un gemellaggio con Gerusalemme, la città della giustizia e della pace. E’ stato come fare nostra la somma dei valori che la Terra Santa esprime nel simbolo. Gerusalemme nella nostra cultura collettiva è la società cristiana del bene comune come ideale, è il desiderio che i nostri antichi aretini vollero imprimere in questa città: una città murata e turrita, edificata a immagine del XXI capitolo dell'Apocalisse, con un Santo a custodirne ogni porta, quasi a tutelare il bene di tutti: San Lorentino, San Clemente, San Biagio, Santa Maria del Soccorso, Sant’Andrea…
La Madonna del Conforto difese Arezzo dagli invasori. Oggi, c'è un'altra invasione, quella ideologica: idee e convinzioni estranee alla nostra cultura e al nostro sentire comune; oppinioni che vorrebbero sovvertire le nostre visioni della morale. Eppure imparammo ad astenerci da ogni fanatismo; il Vangelo ci insegnò a rispettare tutti, ma a non perdere la nostra identità. Noi, da cristiani, siamo venuti stasera nella Chiesa madre, tutti insieme, per dirci che la santità ci interessa. Non abbiamo paura di essere diversi dal modo di ragionare del mondo: quello stereotipo ripetuto dai media fino alla noia, fino a farti il lavaggio mentale. Noi abbiamo un'identità precisa e la voglia di essere fedeli alle scelte nelle quali ci ritroviamo, sulle orme dei padri di questa città.
Stasera è la festa della 'emorroissa’ del Vangelo: quella povera donna alla quale bastò sfiorare il lembo del vestito di Gesù per essere guarita. Così fanno sfilando anonimi nostri fratelli, davanti all’immagine della Madonna.
Coraggio! La gente non ha perduto la speranza, la voglia di misurarsi ancora con la qualità della vita cristiana. Certo siamo qui per promettere a Dio di resistere al male, e di promuovere il bene. Ecco la grazia che la Madonna ci fa stasera! La passiamo ai più piccoli che ci guardano incantati, davanti a noi nelle piccole uniformi da scout. Passiamo loro questa voglia di essere gli amici i Gesù, così come la sentiamo nel cuore.
Il più antico modo in cui gli aretini hanno venerato la Madonna, è il titolo della misericordia di Fraternita e di innumerevoli opere della carità nei secoli. Sotto quel manto, ci siamo noi. Con tutte le diversità che volete, purchè ci sia spazio per tutti. E se c'è spazio per tutti, c'è spazio anche per me. Dobbiamo stare attenti a non escludere nessuno, perché le diversità sono un dono di Dio che arricchiscono. Solo le divisioni sono opera del maligno. La Chiesa del Signore, rimirando la Madonna del Conforto, vuole ritrovare la propria identità plurale e riconoscere negli altri il segno di Dio.
La Madonna del Conforto in questi giorni ci ha fatto dei grandi regali. Il dono di ricercare l'unità della Chiesa, nei suoi ministri e in quella Chiesa che è il popolo di Dio. Sono le decine di migliaia di persone salite in Duomo senza dichiarazioni ufficiali, senza cartellini, senza specificazioni. In quanti, figli miei, siete venuti davanti alla Madonna del Conforto!
Arezzo si esprime nella pienezza con le sette zone della diocesi; sono arrivati dal Casentino, dal Valdarno, dal Senese, dalla Valdichiana, da Cortona, da Castiglion Fiorentino, dalla Valtiberina: una meraviglia, sono arrivati tutti con la voglia di rimettersi in cammino, per riprendere il cammino. Perché questo è il senso della festa che celebriamo: la decisione contagiosa di ritrovarsi ancora tra fratelli, di riprendere con rinnovato coraggio l’esperienza cristiana, accanto alla gente.
Mi ha commosso il primo giorno della ‘novena’: è arrivato un piccolo vaso di fiori davanti alla Madonna del Conforto. Erano i 111 che temono il licenziamento. Cristiani di Arezzo, ci vogliamo accorgere che i problemi reali non sono eludibili? Se siamo figli della Chiesa ci dobbiamo accorgere che c’è gente in questa città che non ha i soldi per pagare la bolletta della luce. Ma vuoi aprire gli occhi e accorgerti che c’è una fila di gente che non sa come fare la spesa?
Non è poesia, è una prosa concreta, reale. Vieni con me, te la faccio vedere nelle tribolazioni di molti: nelle nostre parrocchie di periferia, nei paesini meno fortunati, nei luoghi dove il lavoro non c’è più, ma i mutui per la casa debbono ancora essere finiti di pagare.
Le nostre famiglie: ma perché non dobbiamo accarezzare i nostri giovani, comprendere le difficoltà che hanno? Perché non dobbiamo aiutarli a mettere su casa, una famiglia, con quella solidarietà intergenerazionale che ci appartenne da sempre. Una famiglia per metterla insieme ci vuole un minimo di stipendio, una casa, non si vive solo di promesse d’amore: ci vuole concretezza. Il popolo toscano la concretezza sa comprenderla e apprezzarla.
I più giovani guardano a noi. L’altra sera don Danilo e i sette preti che –uno per zona della diocesi – si dedicano ai ragazzi me ne hanno portati un mare, di notte, fin sotto la Madonna del Conforto, a partire da San Michele, che ora è riaperta per diventare il centro diocesano della Pastorale giovanile. Quando siamo passati con la grande croce di legno, su per il Corso, siamo saliti con le torce a vento, dicendo il Rosario. Gli altri ci guardavano, incuriositi dal singolare modo di cinquecento loro coetanei di spendere le ore di un sabato sera. Nessuno ci ha derisi. Era un segno. La vogliamo passare alla generazione nuova questa storia antica e bellissima di Arezzo incantata attorno alla Madonna del Conforto?
Ci serve una proposta tangibile. Un linguaggio credibile. La carità è una risposta, è una cultura, è un impegno.
La Madonna del Conforto ha rimesso insieme le varie parti di noi, della nostra Chiesa diocesana: ci ha fatto ritrovare il gusto di provarci ancora ad essere organici gli uni con gli altri. Quel che fa uno di noi, non c’è bisogno che lo faccia anche l’altro: purchè tutto sia messo a disposizione di chi ne ha bisogno.
Non ci interessano le apparenze, ma la fatica di costruire la pace. Siamo venuti stasera in Duomo per essere confortati in questa fatica, che è condivisa con tutti gli uomini di buona volontà.
C’è qualcuno che si meraviglia perché dalla chiesa cattedrale si lanciano ponti verso tutti, verso tutte le Istituzioni. Arezzo ci interessa, è il riferimento di una collettiva storia d’amore di questa Chiesa. Ad Arezzo, che ha il volto dei nostri bambini, che è come un grande puzzle fatto di tutti noi, non c’è nessuno che vogliamo sia escluso dalla bellezza della fede, dal conforto che ci viene, affidandoci alla Madre di Dio.
In questo momento bello, in cui siamo lieti di stare insieme nella chiesa madre, torniamo a istituire il servizio della Caritas diocesana nella sua pienezza. Ancora un poco e i rappresentanti di tutta la diocesi torneranno a promettere il loro impegno, perché non ci sia nessuno che non trovi ascolto, non ci sia persona alcuna a cui non si dia una risposta, nessuno che si senta abbandonato. Accanto alla carità di ogni parrocchia, fiorisca quella di tutti noi insieme, di questa Caritas diocesana che si affida alla Madonna del Conforto, per riprendere, con rinnovata lena, il proprio servizio.
Con la consolazione con la quale siamo consolati noi, vogliamo che siano consolati tutti quelli che ci stanno intorno. Così ci insegna la Madonna del Conforto.
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