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Api in fuga dalla campagna, in città stanno meglio

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(AdnKronos) – Api in fuga dalle campagne. Si moltiplicano i casi di avvistamenti di sciami e aumenta la presenza di questi impollinatori tra le vie e i palazzi cittadini. Perché? “Perché ormai stanno meglio in città che in campagna”, spiega all’Adnkronos Francesco Panella, presidente dell’Unaapi, l’Unione nazionale associazioni apicoltori italiani. Colpa dell’agricoltura intensiva, per la quale “servirebbe l’etichetta ‘biocida’, proprio come sui pacchetti di sigarette”. Una pratica che, attraverso l’utilizzo di prodotti chimici, è tra le cause principali della moria delle api, proprio in quello che era il loro habitat naturale.
E anche se l’apicoltura urbana sta diventando un moda, questa migrazione degli insetti dalla campagna alla città rappresenta un dato preoccupante “perché le api sono la punta dell’iceberg di uno dei fattori indispensabili per l’uomo, l’impollinazione, e se le api non sopravvivono più nelle campagne questo significa che non sopravvivono più neanche coccinelle, libellule, farfalle”, aggiunge Panella.
Il dato è diverso a seconda de Paesi. A soffrire di più sono le api che vivono in quelli ad agricoltura intensiva più spinta. “Il peggiore? Gli Stati Uniti che ogni anno, da 10 anni, perdono il 30% delle api; quest’anno è stato il 23%, l’anno scorso il 36% – aggiunge il presidente Unaapi – E infatti Obama la settimana scorsa ha annunciato una task force per salvare le api che temo farà la fine della riforma sanitaria, visto che a decidere le politiche agricole sono i produttori di chimica”.
Le api statunitensi insomma non se la passano bene e le poche che rimangono “vengono in gran parte convogliate in California per impollinare le colture di mandorlo, con il risultato che gli apicoltori hanno denunciato la contaminazione chimica degli alveari portati a questo scopo, sebbene gli agricoltori dichiarino di aver utilizzato sui mandorli prodotti a norma di legge”. Tra i Paesi europei, invece, “l’Italia è quello in cui le api stanno meglio – aggiunge Panella – grazie alla sospensione di alcuni insetticidi sistemici nella concia delle sementi del mais, e questo si vede”.
Per salvare le api, dunque, è necessario “cambiare modo di fare agricoltura – aggiunge Panella – trattiamo il processo produttivo agricolo come se si trattasse di fare automobili o frigoriferi, senza tenere presente che invece abbiamo a che fare con la natura e la sua complessità”. Cambiare modo di fare agricoltura è possibile; più complesso invece agire sui cambiamenti climatici, responsabili di questo “annus horribilis” del miele italiano. “Questa è una pessima stagione produttiva per l’apicoltura italiana – spiega Panella – al momento tutte le fioriture primaverili principali, dal millefiori, all’arancio in meridione e l’acacia nel centro nord, sono ai minimi storici a causa del clima”.
2014 a parte, l’Italia conta 50mila apicoltori e una produzione media di 200mila quintali di miele l’anno. Un settore in cui cresce l’occupazione, soprattutto giovanile, perché la domanda di prodotti apistici cresce più dell’offerta e salgono di conseguenza le quotazioni del miele “nonostante la Cina stia inondando il mercato di ‘miele’ adulterato e scadente”, e anche perché per avviare un’attività l’investimento è risotto, circa 50-70mila euro.