Home Nazionale Caccia e inquinamento sono la causa della morte di 2.500 rapaci all’anno

Caccia e inquinamento sono la causa della morte di 2.500 rapaci all’anno

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Roma, 5 mag. (Adnkronos) – “Ogni anno circa 2.500 rapaci muoiono nel loro viaggio migratorio dal Nord Africa verso l’Europa settentrionale. Almeno 200 sono abbattuti dai bracconieri vicino allo Stretto di Messina. Gli altri dall’inquinamento umano e dalle costruzioni artificiali che alterano l’ambiente naturale”. Questa la denuncia della Lega italiana protezione uccelli (Lipu), che in questi giorni ha organizzato in Romagna la 49° assemblea dell’associazione. “A cadere sono anche tanti passeriformi”, dice all’Adnkronos Marco Gustin, responsabile Specie Ricerca della Lipu. “Diversi milioni di esemplari volano verso nord lasciando l’Africa in primavera: migliaia di loro cadono sotto i colpi dei cacciatori, soprattutto nel Lazio, in Sicilia, in Sardegna e nelle isole minori della Campania”, sottolinea l’esperto.
Ogni anno, durante il periodo primaverile, circa 30-40mila esemplari di rapaci lasciano l’Africa e si muovono in direzione dell’Europa settentrionale. Per raggiungere la loro destinazione, gli uccelli attraversano lo Stretto di Messina, lo Stretto di Gibilterra e il braccio di mare turco a nord di Istanbul. Queste aree sono chiamate dagli specialisti ”a collo di bottiglia”, perché rapaci e cicogne, percorrendole, si incanalano lungo la loro rotta migratoria.
Gustin chiarisce che “i rapaci preferiscono volare su queste zone perché possono sfruttare le correnti ascensionali per spostarsi. In questo modo risparmiano energia, dato che per muoversi non devono sbattere le ali, ma semplicemente planare”. Il viaggio dura alcune settimane. ”Durante l’inverno europeo, i rapaci si fermano in Africa – aggiunge il responsabile Specie Ricerca della Lipu – soprattutto a sud del deserto del Sahara. Quando arriva la primavera, si spostano verso nord: raggiungono il bacino del Mediterraneo e l’Europa centro-settentrionale per riprodursi. In queste regioni, infatti, ci sono migliori condizioni per allevare i pulcini, dato che le giornate sono più lunghe e c’è abbondanza di cibo”.
L’esperto della Lipu chiarisce che il viaggio migratorio è molto difficile, sia per i rapaci che per i passeriformi. ”Soprattutto per i secondi – continua Gustin- perché l’inquinamento atmosferico, la deforestazione e le costruzioni dell’uomo riducono l’ambiente in cui possono vivere e nutrirsi. A questi fattori si aggiunge la minaccia del bracconaggio: un’illegale caccia ai volatili, che si verifica soprattutto nel Lazio, in Sicilia, Sardegna e nelle isole minori della Campania”. Se per i rapaci il tasso di mortalità è basso, vicino al 5-10%, per i passeriformi è molto alto: ogni anno, delle decine di milioni di esemplari che migrano, almeno il 50% muore durante la traversata.
Anche la popolazione italiana di rondini si è ridotta in questi ultimi anni. Attualmente, si stimano tra le 500mila e un milione di coppie. L’esperto della Lega italiana protezione uccelli segnala tre cause principali del problema: ”In primo luogo, è diminuito il numero di stalle e di tutte quelle infrastrutture rurali che sono scelte dalle rondini per nidificare. Inoltre, sempre più campi sono coltivati ad agricoltura intensiva: le rondini, che sono volatili insettivori, trovano poco cibo, spesso avvelenato dagli agenti chimici usati sulle colture”.
L’ultima motivazione è relativa alle migrazioni. Anche le rondini italiane passano l’inverno in Africa, soprattutto in Nigeria. Appena arriva la primavera, volano verso la Penisola, lungo la costa tirrenica o quella adriatica. Durante la permanenza nel nostro Paese, covano almeno due volte, dando alla luce circa 4 pulcini. Con l’arrivo del freddo, 3-4 milioni di esemplari ripartono in direzione del continente africano. Non tutti però arrivano a destinazione. Come spiega Marco Gustin, ”il viaggio è lungo migliaia di Km e bisogna attraversare diverse barriere, come il deserto del Sahara e il mar Mediterraneo. Inoltre, questi uccelli sono di piccole dimensioni e pesano 30 grammi: non possono sfruttare le correnti ascensionali. Così almeno un terzo degli esemplari più giovani, sfiancato dallo sforzo, cade durante il tragitto”.