Home Nazionale Dalla pesca al mare profondo, il progetto ‘Ritmare’ indaga il Mediterraneo

Dalla pesca al mare profondo, il progetto ‘Ritmare’ indaga il Mediterraneo

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Roma, 26 mar. – (Adnkronos) – Dalla flotta di pescherecci (quella italiana è la più vecchia del Mediterraneo) alla biodiversità passando per lo studio di un bacino geologicamente molto giovane che nasconde nelle sue profondità vulcani attivi e faglie in grado di generare maremoti. Uno studio che passa lungo le coste per arrivare al mare più inaccessibile, quello a 3.000 metri di profondità, per svelare tutti i segreti delle Mare Nostrum. E’ Ritmare (Ricerca Italiana per il Mare), progetto finanziato dal Miur con l’obiettivo di far lavorare insieme tutti gli enti di ricerca che si occupano di mare in Italia e i principali consorzi universitari, rafforzando il rapporto tra l’accademia e l’industria.
Perché “in Italia abbiamo grandi competenze, sia nella ricerca marina che marittima, ma queste competenze non hanno mai lavorato insieme prima d’ora”, spiega all’Adnkronos Fabio Trincardi, direttore dell’Istituto di Scienze Marine del Cnr con sede a Venezia, che da 4 anni dirige il progetto presentato all’Accademia dei Lincei in occasione del convegno “Gestione Sostenibile del Mediterraneo”.
Ritmare è suddiviso in 7 sottoprogetti, ciascuno con obiettivi specifici. Il primo riguarda l’ingegneria navale con studi ingegneristici che puntano “al rafforzamento della sicurezza, alla diminuzione delle emissioni e alla razionalizzazione dei trasporti”, spiega Trincardi. “Poi – aggiunge – c’è il tema della pesca su cui stiamo facendo lavori sperimentali che potrebbero portare alla definzione di un nuovo tipo di peschereccio con impatto ambientale e costi minori, perché quello che forse non si sa è che la flotta di pescherecci italiana è la più vecchia del Mediterraneo”.
Ampio spazio ai sistemi naturali, da quelli costieri al mare profondo. Per quanto riguarda i primi “cerchiamo di far capire che le coste del Mediterraneo sono frutto di un’evoluzione in cui l’uomo ha giocato un ruolo durato molte migliaia di anni: quello che vediamo oggi – spiega il direttore di Ismar Cnr – è stato artificializzato, in molti punti, da tempo. Ci sono impatti antropici che non sono solo quelli dell’epoca industriale ma che nascono con le deforestazioni romane fino alla deviazioni dei fiumi attuate dal ‘500 in poi”.
Sul mare profondo, l’obiettivo è quello di riuscire a investigare a 3.000 metri la biodiversità legata a batteri e faune microscopiche che non sono mai state studiate. Ma c’è anche il tema della pericolosità naturale legata ad un bacino “geologicamente giovanissimo dove ci sono vulcani sottomarini attivi, faglie attive in grado di generare maremoti e frane sottomarine che stiamo studiano in modo innovativo con tecnologie di osservazione vicino al fondo mare”. In questo rientra anche il progetto di rafforzamento del sistema osservativo oceanografico, per la prima volta con strutture vicine al fondo mare, oltre che di superficie.
E infine “una nuova politica dei dati che sta andando verso la cosiddetta ‘base interoperabile dei dati’ con cui vogliamo portare la comunità scientifica a condividere, con tutti i portatori di interesse anche non scientifici del Paese, i propori dati. Uno dei mali della ricerca italiana – conclude Trincardi – è stato quello di tenere troppo nel cassetto i dati che invece vanno dati e spiegati”.