Home Nazionale Attese infinite per visite ed esami, il focus di Altroconsumo

Attese infinite per visite ed esami, il focus di Altroconsumo

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Roma, 19 giu. (AdnKronos Salute) – Mesi e mesi in lista d’attesa per un esame medico, ma, pagando, è possibile farlo anche domani. A denunciarlo è Altroconsumo, che con il progetto ‘Diritti in Salute’ raccoglie i dubbi di chi si scontra con le inefficienze del Servizio sanitario nazionale che, ricorda l’Associazione, nel mondo è noto per le sue eccellenze, ma rischia sempre più di perdere il suo valore fondante: la tutela della salute come diritto da garantire a tutti in modo equo e non come bene da acquistare, solo per alcuni.
Basta dare un’occhiata ai tempi di attesa sui siti delle Asl, quando disponibili, per capire che c’è qualcosa che non va, sottolinea Altroconsumo, ricordando che l’associazione denuncia da venti anni questo problema, tutt’altro che risolto. Eppure, per le prime visite specialistiche ed esami diagnostici, esistono tempi massimi di attesa da non superare: rispettivamente 30 e 60 giorni. Come vengono rispettati, i cittadini lo vedono ogni giorno agli sportelli, spesso senza essere informati dell’alternativa cui hanno diritto se non c’è posto: un appuntamento, nei tempi previsti, in intramoenia, cioè con il medico dipendete della struttura, ma in regime libero-professionale; pagherà l’azienda sanitaria e il paziente dovrà versare solo il ticket. Lo prevede una legge dal 1998, ma raramente, allo sportello, se lo ricordano.
Le ragioni alla base delle infinite liste d’attesa, tra tagli e inefficienze – osserva Altroconsumo – sono tante. Ad esempio, non dappertutto c’è ancora un Cup a cui rivolgersi e alla mancanza di informatizzazione si aggiunge il fenomeno della mobilità sanitaria che vede tanti cittadini spostarsi verso le Regioni più efficienti, con costi elevati che finiscono per pesare sulle liste di attesa: 270 milioni di euro per la Campania, 250 per la Calabria, 200 per il Lazio. Sono i rimborsi che queste Regioni devono soprattutto a Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, che hanno curato i loro residenti (Motore Sanità, 2016). E così – sottolinea l’associazione – le liste di attesa delle Regioni più attrattive si allungano, mentre le disuguaglianze si ampliano.
L’inappropiatezza di tante prescrizioni è un altro elemento: troppi esami inutili intasano i già affaticati centri di prenotazione, insieme ai tanti malati cronici, in forte aumento in un Paese di anziani come l’Italia. Poi c’è il controllo che manca, il Piano nazionale di Governo delle liste di attesa, oltre a essere continuamente disatteso, è fermo al 2012. Alcune Regioni intanto si sono mosse: l’Emilia Romagna, ad esempio, ha reso possibile fare certi esami e visite di sera e nel weekend e ha penalizzato chi non disdice le prenotazioni e occupa inutilmente le liste, facendo pagare comunque un ticket.
In molti hanno puntato il dito – ricorda l’associazione – contro l’intramoenia, l’attività privata svolta dai medici dipendenti ‘dentro le mura’, del sistema pubblico a tariffe concordate con la Asl, che trattiene parte dell’incasso. Secondo le Regioni Toscana e Lazio, ad esempio, è un conflitto di interessi da abolire, perché nata come possibilità in più si è trasformata in un’alternativa obbligata alle lunghe liste d’attesa, che permette di far cassa sulla pelle dei pazienti. Anche il Parlamento ha presentato delle mozioni per chiedere al Governo di regolare l’intramoenia.
Il paradosso, in effetti – evidenzia Altroconsumo – è che se le liste d’attesa sono infinite, c’è anche chi ci guadagna. Non solo lo stesso Ssn e i suoi medici quando lavorano in regime privato, ma anche la sanità privata a cui, alla fine, ci si rivolge sempre di più pur di curarsi in tempi ragionevoli. Oltretutto, tra ticket e superticket, la spesa ha raggiunto cifre tali da rendere i privati sempre più competitivi. In questo contesto, i pazienti non potranno che scegliere sempre più il privato, che da un lato è un sostegno utile, ma dall’altro erode risorse al servizio pubblico, condannandolo al declino. I numeri confermano: già nel 2015 sono statai pagati 26 milioni di ticket in meno rispetto al 2014 (Corte dei Conti, 2017), anche perché si è abbandonata la sanità pubblica per quella privata.
E’ stata anche l’introduzione del superticket che – rilevano gli esperti dell’associazione – ha reso la sanità sempre più cara e fonte di disuguaglianze, visto che ogni Regione lo applica, o meno, a modo suo. Già nel 2012 la sua introduzione aveva a una calo del 17,2% delle prestazioni erogate dal Ssn, in parte perché la gente a quel punto ha iniziato a scegliere il conveniente privato, e in parte perché chi non aveva i soldi ha rinunciato alle cure. Abolirlo, come si sta pensando di fare – ribadisce Altroconsumo – sarebbe un buon inizio. Il ministro della Salute Lorenzin aveva ventilato l’ipotesi di eliminare anche il ticket, ma i dubbi sulla sostenibilità del Ssn, che per il 23% della spesa (Osmed-Bocconi 2016) si appoggia su questo contributo dei pazienti, fanno pensare a pura propaganda, sostengono gli esperti Altroconsumo.
Quando nel 2011 il ministro Veronesi provò a eliminare i ticket per i farmaci, in pochi mesi ci fu una impennata della spesa dello Stato del 30%, con consumi fuori controllo. Si dovette tornare indietro. Il dibattito, infine, è anche sulle esenzioni dal pagamento del ticket, che riguardano ben il 70% delle prestazioni, sia per reddito sia per malattia.
Oggi, ad esempio – conclude Altroconsumo – anche un miliardario, per curarsi il diabete, non paga nulla per visite e farmaci. Da tempo gli esperti si chiedono quanto questo possa reggere, visto che il primo effetto è che chi invece deve pagare, finisce per pagare troppo. E tra costi e attese, alla fine va dal privato o, nella peggiore delle ipotesi, non si cura.