Home Nazionale Confcommercio: tutele e titoli per designer comunicazione visiva

Confcommercio: tutele e titoli per designer comunicazione visiva

0

Roma, 27 set. (Adnkronos/Labitalia) – La professione di designer della comunicazione visiva deve essere riconosciuta come titolo sia per accedere ai concorsi pubblici, ma anche come libera professione con tutele adeguate. Questa la richiesta fatta oggi dall’Aiap, Associazione italiana design della comunicazione visiva, e da Confcommercio Professioni, in occasione della tavola rotonda ‘Raccontare la professione del designer’ all’Istituto centrale per la Grafica a Roma, alla quale hanno partecipato anche i presidenti della commissioni Lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi.
Il designer di comunicazione visiva è il professionista in grado di operare sia sugli strumenti e i media tradizionali, dalla grafica editoriale all’identità visiva di aziende ed enti, dal packaging alla corporate e brand identity, dall’annuncio pubblicitario alla progettazione dell’allestimento di una mostra, sia in tutti i modi e con tutti i linguaggi legati ai nuovi media e alle tecnologie digitali: il web in tutte le sue articolazioni, i dispositivi mobili (smartphone, tablet), l’editoria digitale, la motion graphic per video e televisione.
In Italia, sono 29 mila le imprese tricolori, 47.274 gli addetti che rappresentano 1/5 del totale degli addetti europei. Il design in generale genera 4,4 miliardi di fatturato, pari allo 0,3% del pil. Dal punto di vista dell’occupazione e delle assunzioni, il settore della produzione creativa impiega circa 1,4 milioni di persone, pari al 5,7% degli occupati del Paese.
I posti di lavoro sono stati creati principalmente dalle industrie creative con il 53,5%, tra queste ovviamente ci sono quelle che operano nell’ambito del design di comunicazione visiva. Negli ultimi cinque anni, in piena crisi congiunturale, il settore ha registrato nel complesso un +5,4% per occupazione e +12,3% per fatturato.
“Come coordinamento per la rappresentanza del mondo del lavoro autonomo professionale -ha detto Anna Rita Fioroni, responsabile di Confcommercio Professioni- il nostro obiettivo è quello di fare in modo che le associazioni possano svolgere la funzione di valorizzare le competenze e i loro professionisti. Oltre a rendere riconoscibile all’esterno le caratteristiche delle professioni. E’ attuale, infatti, la necessità per le professioni non ordinistiche di trovare adeguate risposte al fine di valorizzare le prospettive occupazionali legate alla professione stessa”.
“La legge 4 del 2013 -ha ricordato- è un punto di riferimento normativo che esiste già e la rinnovata attenzione del legislatore verso il mondo del lavoro autonomo non può che comportare un ulteriore potenziamento di questa legge, puntando sul ruolo delle associazioni per valorizzare la professione nel mercato e dare riconoscibilità alla qualità dei professionisti e alle prestazioni da loro rese come fa Aiap per i designer ad esempio”.
“Non si dimentichi inoltre che -ha spiegato Anna Rita Fioroni- i professionisti che scelgono di mettersi in proprio come lavoratori autonomi, tengono alla libertà di esercitare questa scelta che invece le condizioni di contesto non garantiscono (dalla burocrazia al welfare), anche se una prima risposta è arrivata dal Jobs act degli autonomi. Se poi si parla di equo compenso, e molte sono le iniziative legislative in proposito in questo momento, si dimentica che le principali difficoltà relativamente ai compensi dei professionisti, attengono ai rapporti con la pubblica amministrazione e innanzitutto su questo fronte occorrono risposte”.
“Posso dire tranquillamente che -ha chiarito Cinzia Ferrara, presidente di Aiap- le professioni creative rappresentano uno dei pochi fattori di crescita economica anche nel periodo di crisi attuale. Circa il 70% degli operatori del design e del design della comunicazione visiva sono a partita Iva, sia che siano liberi professionisti (free-lance) sia che lavorino in aziende o studi professionali”.
“Nei Paesi avanzati -ha sottolineato- lo Stato è il primo cliente delle imprese design oriented, contribuendo al loro sviluppo a all’implementazione della cultura del design a livello nazionale. Ma in Italia non esiste neanche un ufficio ministeriale, un osservatorio che lavori in continuità e che si occupi del settore del design. Però il made in Italy, il design italiano, sono ottimi slogan per la politica, la quale non sa nella gran parte dei casi cosa faccia effettivamente un designer, un grafico, un designer della comunicazione visiva”.
“La nostra professione -ha ribadito Cinzia Ferrara- deve essere riconosciuta come titolo sia per accedere ai concorsi pubblici, ma anche come libera professione con tutele adeguate. In termini pratici, significa intervenire per garantire la libera professione in termini fiscali, previdenziali, di accessibilità al mondo del lavoro, a partire dal rapporto con la committenza pubblica dove occorre migliorare le modalità con cui vengono reperiti i servizi di progettazione grafica per arrivare alla definizione di una buona pratica che abbia ricaduta positiva anche nel rapporto con la committenza privata”.
Una trasparenza auspicata anche da Maurizio Sacconi e Cesare Damiano. “In un sistema deregolato -ha chiarito Sacconi- assistiamo a una corsa al ribasso delle remunerazioni per cui spesso sono sproporzionate, nel senso che sono al di sotto che meriterebbero le prestazioni stesse. Penso che il legislatore non possa essere indifferente a questo lavoro quasi gratuito o, in alcuni casi, esplicitamente gratuito. Mi riferisco ai tirocini quando si svolgono lontano dai periodi curriculari o ai bandi di gara delle pubbliche amministrazioni in cui esplicitamente si chiede un lavoro gratuito”.
“Il lavoro -ha rimarcato- deve essere remunerato per ciò che vale; occorre un equo compenso e gli strumenti possono essere molti per conseguirlo, innanzitutto liberando le associazioni che rappresentano questi lavoratori dipendenti, liberandoli dal vincolo che oggi non consentirebbe loro di informare adeguatamente il mercato. Valutiamo anche una soluzione legislativa, anche se è difficile nel caso di un lavoratore indipendente. Stiamo discutendo una legge che è rivolta alle professioni ordinistiche perché sono organizzate e tipizzate, ci sono già dei parametri e, quindi, ci limitiamo a dare a questi parametri una forza generale nei rapporti contrattuali”.
“Il punto di partenza -ha aggiunto il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano- è quello di valutare la situazione che si è determinata nel mondo del lavoro, a seguito dell’evoluzione della globalizzazione e della rivoluzione digitale. Attualmente abbiamo dei mestieri che scompariranno e le persone che nascono oggi non sanno quali saranno le professioni future”.
“In una società liquida -ha fatto notare- inevitabilmente è diventato liquido anche il lavoro e quindi, bisogna studiare come difenderlo. A mio parere dobbiamo costruire un pavimento universale di diritti che deve valere sia per il lavoratore dipendente che per quello indipendente. Fissare dei livelli minimi inderogabili è una scelta indispensabile per garantire una remunerazione dignitosa e un lavoro di qualità. Bisogna, inoltre, stabilire chi ha il diritto di negoziare”.
“Occorre che il legislatore -ha affermato- possa fissare un ‘giusto compenso’ per le prestazioni dei liberi professionisti, per evitare una competitività al ribasso. L’equo compenso, inoltre, non può riguardare soltanto gli ordini, ma deve anche coinvolgere il mondo del lavoro autonomo. Per definire l’equo compenso, proponiamo di utilizzare per il lavoro autonomo il tavolo già previsto dalla legge 81 del 2017, così da stabilire i criteri più convenienti”.