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Ricerca: microbiota super mette il turbo a prestazioni atleti

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Roma, 12 ott. (AdnKronos Salute) – Una nuova arma per il successo degli atleti. Non sono solo dieta e preparazione fisica: a fare la differenza è anche il microbiota intestinale, cioè i miliardi di germi (batteri in gran parte, ma anche virus e funghi) che ospitiamo nell’intestino. L’analisi genomica del microbiota potrebbe fornire un giorno, insomma, non solo la carta di identità del nuovo Usain Bolt, ma contribuire a migliorare le performance di atleti e persone comuni. In che modo? Sotto forma di uno speciale probiotico ‘di talento’. Il microbiota degli atleti infatti brucia meglio i carboidrati, sintetizza più aminoacidi, sa come disfarsi in tempo record dell’insidioso acido lattico che si accumula nei muscoli dopo una gara, come si legge in una nota della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva.
“Il microbiota umano – spiega Gianluca Ianiro, membro del consiglio direttivo Sige, gastroenterologo della Fondazione Policlinico A. Gemelli e membro del Young Talent Group della United European Gastroenterology (Ueg) – è l’insieme di tutti i microrganismi presenti nel nostro corpo, che albergano nelle parti a contatto con l’esterno. Il più importante è quello intestinale, poi c’è quello della pelle, quello genito-urinario e polmonare (individuato di recente). Del microbiota fanno parte batteri ma anche funghi e virus. A renderci unici e diversi da un individuo all’altro è proprio il nostro microbiota. La differenza in termini di genoma umano (abbiamo circa 23 mila geni) tra un individuo e l’altro infatti non supera lo 0.01%; possiamo invece differire per oltre l’80-90% da un altro individuo in termini di genoma del microbiota (3,3 milioni di geni). La composizione del microbiota varia nel corso della vita e può essere modulata: in modo fisiologico, attraverso la dieta, con l’allattamento al seno o con latte artificiale, con parto cesareo o naturale; in modo patologico ad esempio per una gastroenterite infettiva, se si assumono antibiotici o inibitori di pompa protonica (farmaci anti-acido)”.
In questo caso si può verificare una disbiosi qualitativa o quantitativa, che costituisce la perdita della simbiosi fisiologica fra uomo e microbiota. “Questo può portare ad una serie di malattie nelle quali è implicato il microbiota (come il Clostridium difficile, le malattie infiammatorie croniche intestinali, la sindrome dell’intestino irritabile). Un microbiota alterato può contribuire a provocare anche patologie metaboliche come l’obesità e alcune malattie neurologiche”.
Ma il microbiota ha ancora tante sorprese in serbo. L’ultima è la scoperta che potrebbe contribuire a modulare le performance atletiche. George Church, professore di genetica ad Harvard e di scienze della salute e tecnologia ad Harvard e al Mit è andato a valutare se ci fossero differenze tra il microbiota di atleti professionisti e di gente comune, studiando anche le eventuali variazioni di questo patrimonio silenzioso di microrganismi prima e dopo una gara importante. La scelta è caduta sui partecipanti alla maratona di Boston; il microbioma degli atleti è stato prelevato (campioni di feci) prima e dopo la gara, rivelando delle alterazioni di composizione, in particolare a carico di un particolare tipo di batteri in grado di metabolizzare l’acido lattico, che ha le potenzialità di migliorare il metabolismo energetico e facilitare il recupero dopo uno sforzo importante come quello della maratona.
“Gli autori di questo filone di ricerca – commenta Ianiro – stanno cercando adesso di isolare questi batteri di ‘talento’ per realizzare un probiotico ‘da atleti’, da somministrare alle persone che vogliano aumentare le loro performance sportive e di fitness, ma anche chi vuole migliorare il proprio stato di salute”. In un altro lavoro, lo stesso gruppo di ricerca ha scoperto un tipo particolare di batteri nel microbiota degli ultra-maratoneti (quelli che fanno gare di oltre 100 miglia) specializzati nel metabolizzare con grande efficacia carboidrati e fibre; questi batteri non erano presenti nel microbiota della squadra olimpica di canottaggio e questo fa pensare che diversi sport inducono e selezionano diverse forme di microbiota.
“Un altro studio irlandese, pubblicato di recente su ‘Gut’ da Wiley Barton dell’Università di Cork – prosegue il dottor Ianiro – è andato a valutare la composizione del microbiota intestinale in un gruppo di rugbisti, scoprendo che questi atleti hanno una esaltata sintesi di aminoacidi e un aumentato metabolismo dei carboidrati; il loro microbiota è inoltre in grado di produrre un maggior quantitativo di acidi grassi a catena corta (che sono associati ad una migliore fitness muscolare e in generale ad un miglior stato di salute) rispetto alle persone sedentarie”. Al momento “non è chiaro se è la dieta degli atleti o il tipo di attività sportiva a selezionare delle tipologie particolari di microbiota – sottolinea Antonio Craxì, presidente della Sige – potrebbe infatti essere questo tipo di microbiota a facilitare le loro performance atletiche e contribuire a fare di un individuo un atleta di talento”.
“Non sappiamo insomma se è nato primo l’uovo o la gallina – conclude Ianiro – cioè se queste persone hanno un microbiota ‘di talento’ che magari poi si è sviluppato nel tempo, perché lo esercitano attraverso la dieta e l’esercizio, entrando in un circolo virtuoso di selezione naturale”. Ma le ricerche in questo campo stanno diventando di giorno in giorno più numerose. E in futuro si può pensare davvero a un probiotico ‘da sportivi’.