Home Nazionale Sanità: rapporto Oasi, il Paese vecchio che non sa assistere i suoi ‘senior’

Sanità: rapporto Oasi, il Paese vecchio che non sa assistere i suoi ‘senior’

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Milano, 4 dic. (AdnKronos Salute) – L’Italia invecchia, e invecchia anche il suo sistema sanitario nazionale. Invecchiano le macchine e i medici che tengono in piedi il servizio, ma ha a che fare con l’età anche il tallone d’Achille della sanità pubblica che rischia di cadere proprio sull’assistenza di lungo termine e sulla cronicità. Nel Paese si contano 2,8 milioni di anziani non autosufficienti, e i 270 mila posti letto dedicati (sociosanitari residenziali pubblici o privati accreditati) coprono meno del 10% del fabbisogno. Le cure domiciliari risultano “largamente insufficienti a colmare il gap”, riducendosi in media a 17 ore per paziente preso in carico. Sono le famiglie ad auto-organizzarsi, o attraverso un impegno diretto nella cura del proprio caro o con l’aiuto di un caregiver informale, una badante, oppure ricorrendo al ricovero sociosanitario in regime di solvenza completa.
E’ la fotografia scattata dal rapporto Oasi 2017 (Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano), curato da Cergas-Sda Bocconi e presentato oggi a Milano in occasione di un convegno organizzato in ateneo grazie al contributo di Bayer e Bristol-Myers Squibb. Dal quadro tracciato emerge l’immagine di un Ssn “parsimonioso”, dalla spesa “sobria”, ma alle prese con un equilibrio sempre più difficile tra vincoli finanziari, invecchiamento e cambiamenti sociali.
Nel 2016 il Servizio sanitario nazionale ha speso 115,8 miliardi di euro, una cifra – evidenzia il report – in crescita dell’1,1% sul 2015, ma che è aumentata in media dello 0,7% l’anno tra il 2010 e il 2016, “un tasso inferiore a quello dell’inflazione”. Il confronto internazionale vede questa voce incidere complessivamente per il 9% sul Pil italiano nel 2015, contro il 9,9% della Gran Bretagna, l’11,1% della Francia, l’11,2% della Germania, il 16,9% degli Usa.
La spesa sanitaria che nel 2010 costituiva il 24% della spesa di welfare pubblico 6 anni dopo è scesa al 21,9%, a favore della spesa assistenziale (assegni di invalidità e accompagnamento), passata dall’8 al 10%. Stabile al 68% la spesa pensionistica.
“Le ‘fonti pubbliche’ – osservano i curatori del rapporto Oasi, Francesco Longo e Alberto Ricci – coprono ancora il 95% della spesa ospedaliera, ma solo il 60% della spesa per prestazioni ambulatoriali e il 65% delle spese di assistenza di lungo termine nelle strutture residenziali”. Il trend economico va letto guardando anche al contesto sociale. I pazienti cronici pluri-patologici rappresentano ormai il 21% della popolazione e fisiologicamente tendono ad assorbire gran parte dell’offerta di prestazioni ambulatoriali, spingendo i pazienti occasionali verso il circuito a pagamento.
Il capitolo delle cure ai non autosufficienti resta il più delicato e poggia su un meccanismo che “si regge grazie a una combinazione di equilibri sociali destinati a scomparire”, avverte Longo. I trend demografici non accennano a invertirsi, con un numero medio di figli per donna pari a 1,34 nel 2016. E se oggi il rapporto tra anziani e popolazione attiva è 35 a 100, nel 2065 si prevede sarà 60 a 100. Il sistema pensionistico ha inoltre tutelato i redditi medi degli anziani, rimasti pressoché invariati tra il 2006 e il 2014 mentre quelli dei giovani tra i 19 e i 34 anni sono diminuiti di 20 punti percentuali, ma il progressivo passaggio al sistema contributivo è destinato a ridurre anche i redditi da pensione.
A invecchiare, come si è visto, non è soltanto la popolazione generale, ma anche quella dei professionisti del Ssn, la più anziana fra i Paesi esaminati dal rapporto. Camici bianchi, tempie grigie: in Italia il 52% dei medici del Ssn ha più di 55 anni, contro il 13% del Regno Unito, il 43% della Germania e il 46% della Francia. Il report rileva che “la spesa per il personale è diminuita di 6 punti tra il 2010 e il 2016, con la conseguente allarmante crescita dell’età media degli operatori”. Nel complesso la spesa per beni e servizi, pari al 33,6% del totale, supera quella del personale (29,7%).
Gli acquisti di beni e servizi crescono soprattutto con riferimento alla componente sanitaria, indicando una concentrazione di risorse sull’innovazione tecnologica. Ma degno di nota, secondo gli esperti del Cergas, è l’aumento della spesa per riparazioni e manutenzioni (+1,6% rispetto al 2015), “probabile indicatore di uno stock di capitale che invecchia e mostra segni di obsolescenza”, si legge nel report dal quale emergono ombre e luci. L’Italia, per esempio, vanta meno ospedalizzazioni inappropriate di Regno Unito, Usa, Spagna, Germania e Francia, e un’aspettativa di vita e di vita in buona salute pari a 82,7 e 72,5 anni. Diminuiscono i ricoveri, scesi a 9 milioni nel 2016. Ma fuori dall’ospedale non sempre c’è una rete pronta ad accogliere il malato cronico.
Intanto diverse Regioni stanno mettendo mano all’organizzazione e alla governance dei loro servizi sanitari. C’è un movimento verso la riduzione delle aziende e, in alcuni casi, verso una maggiore integrazione fra pubblico e privato. Sta cambiando la geografia dei servizi e si stimano ora circa 300 Case della Salute a livello nazionale, seppur con caratteristiche, servizi e denominazioni molto eterogenee tra loro. Resta l’urgenza, conclude il rapporto, di “nuove politiche del personale”. Sul fronte camici bianchi, si contano il doppio dei candidati alle specialità mediche rispetto ai contratti finanziati (13.802 contro 6.725). Il problema, rilevano gli autori del report, è la scarsità di risorse per assumere e formare specializzandi, non la mancanza di medici. Diverso il discorso per gli infermieri: nel Ssn italiano il personale infermieristico è meno della metà rispetto alla Germania (6 ogni 1.000 abitanti contro 13) e, suggeriscono gli esperti, a fronte dell’aumento della cronicità e della ‘Long term care’, andrebbe valutata anche una “modifica delle competenze e dei ruoli professionali”.