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Senza depurazione l’11% degli italiani

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Roma, 11 ago. – (AdnKronos) – Sono circa 10 milioni i cittadini italiani che ancora non hanno un adeguato servizio di depurazione. L’11% invece ne è ancora sprovvisto. La conseguenza diretta, oltre ai danni per l’ambiente e la qualità delle acque marine e di superficie, sono le sanzioni europee comminate all’Italia, colpevole di ritardi nell’applicazione delle regole sul trattamento delle acque.
Lo sottolinea Utilitalia (la federazione delle imprese di acqua ambiente e energia) ricordando anche i danni sul fronte turismo visto che molte delle aree ‘bacchettate’ dall’Ue sono località rinomate del nostro Paese: da Cefalù a Courmayeur, da Rapallo a Trieste, da Napoli a Roma e in parte Firenze, da Ancona a Pisa.
In tutto, sono quasi 1.000 quelle che non rispettano le regole comunitarie sul trattamento delle acque reflue. Tra le Regioni più colpite, Sicilia, Calabria e Campania.
Tre i contenziosi avviati dalla Commissione Ue nei confronti dell’Italia per mancati adempimenti alla direttiva 91/271/Ue relativa a raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue. I tempi di adeguamento sono stati ampiamente superati dal momento che l’ultima scadenza era fissata al 31 dicembre del 2015. In particolare, l’Italia è soggetta a tre procedure di infrazione relative alla violazione della disciplina europea in materia di acque reflue urbane.
Sono queste: procedura di infrazione 2004/2034 (Cattiva applicazione della direttiva 91/271/Cee nelle Aree Normali con più di 15.000 abitanti, con sentenza di condanna della Corte di Giustizia Ue del 19 luglio 2012); procedura di infrazione 2009/2034 (Cattiva applicazione della direttiva 91/271/Cee nelle Aree Sensibili con più di 10.000 abitanti, con sentenza di condanna della Corte di Giustizia Ue del 10 aprile 2014); procedura di infrazione 2014/2059 (Cattiva applicazione della direttiva 91/271/Cee in un numero consistente di agglomerati con più di 2000 abitanti collocati sia in aree “normali” che in aree “sensibili”).
Due sono le condanne da parte della Corte di Giustizia Europea. Complessivamente, con diversi gradi di gravità e relative sanzioni, sono colpiti 931 agglomerati urbani: 80 per la condanna a C565-10, 34 agglomerati per la C85-13, 817 per la procedura d’infrazione. La maggior parte di queste aree sono concentrate nel Mezzogiorno e nelle isole; si trovano in territori gestiti direttamente dagli enti locali e non attraverso affidamenti a gestori industriali.
Per la prima infrazione, 7 le regioni interessate: Abruzzo (1 agglomerato), Calabria (13), Campania (7), Friuli Venezia Giulia (2), Liguria (3), Puglia (3), Sicilia (51). Nella Regione Siciliana risulta localizzato il 63% degli agglomerati in infrazione. Per la seconda infrazione le Regioni interessate sono 11: Abruzzo (1 agglomerato), Lazio (1), Lombardia (14), Friuli Venezia Giulia (5), Marche (2), Puglia (2), Sicilia (5), Sardegna (1), Valle d’Aosta (1), Veneto (1), Piemonte (1).
Per entrambe le procedure alcuni agglomerati potrebbero essersi, nel frattempo, adeguati; altri lo faranno presto. Ma per la maggior parte i lavori dovrebbero terminare tra il 2021 e il 2024. Le multe europee superano i 60 milioni di euro forfettari, più una penalità di quasi 350mila euro al giorno (oltre 60 milioni a semestre) per ogni giorno di ritardo.
Con una corretta depurazione si ottiene sia acqua nuovamente riutilizzabile (preziosa in periodi di siccità) sia fanghi che possono esser riutilizzati come fertilizzante in agricoltura o trasformati in bio-combustibili. Ogni anno in Europa – secondo i dati dell’Unione Europea – vengono trattati più di 40 mila milioni di metri cubi di acque reflue, ma ne vengono “riusati” soltanto 964 milioni di metri cubi.
In Australia e in Israele il riuso delle acque reflue depurate è invece molto diffuso; in Europa sono Spagna e Malta a primeggiare. Il potenziale di crescita è enorme: l’Europa potrebbe arrivare a utilizzare sei volte il volume di acque trattate oggi. In Italia, che ha uno dei potenziali più alti, si trattano e si riusano ogni anno 233 milioni di metri cubi di acque reflue.
“Sono due i passaggi principali di cui si deve tener conto: il primo è quello di garantire ai cittadini un servizio che possa offrire dei livelli adeguati di igiene e salute; il secondo è un passaggio culturale, bisogna applicare all’acqua gli stessi principi dell’economia circolare che già si applicano ai rifiuti, e pensare in un’ottica di ‘blue circular economy’”, osserva il direttore generale di Utilitalia, Giordano Colarullo.
Per fare entrambe le cose, sottolinea Colarullo, “occorre investire, passando dagli attuali 32-34 euro per abitante ad almeno 80 euro per abitante all’anno; e anche se resteremo lontani dagli oltre 100 euro che si spendono in Europa almeno avremo intrapreso il percorso necessario per evitare che i soldi vengano spesi in multe anziché in opere. In generale servirebbero investimenti per 5 miliardi all’anno, cifra che sarebbe il minimo necessario per coprire il fabbisogno di infrastrutture del nostro Paese”.
Il legame tra acqua e turismo sarà al centro di una sessione specifica del Festival dell’Acqua (Bari, 8-11 ottobre): nelle aree a forte vocazione turistica, infatti, la gestione delle risorse idriche rappresenta un elemento fondamentale, che può decretare il successo o meno della capacità attrattiva.