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ESI 2007: la scala che aiuta a ‘prevenire’ i terremoti

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ESI 2007: la scala che aiuta a ‘prevenire’ i terremoti

ITALIA – Si chiama ESI 2007 (Environmental Seismic Intensity Scale) ed è una nuova scala di intensità sismica basata sugli effetti che i terremoti producono sull’ambiente e non solo su edifici e infrastrutture. Uno strumento che consente una migliore conoscenza e valutazione dei sismi e che può essere utilizzato nel prevenire e mitigare gli effetti da questi causati sull’ambiente, predisponendo più accurate pianificazioni territoriali, con la prospettiva di ridurre le perdite umane e la riduzione del danno economico.
Ecco in estrema sintesi le caratteristiche della nuova scala, messa a punto da studiosi a livello internazionale tra i quali il maggiore ispiratore e proponente è stato il gruppo di lavoro italiano, composto da esperti ricercatori del Cnr-Consiglio nazionale delle ricerche (Eliana Esposito, Sabina Porfido), APAT-Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici (Leonello Serva, Valerio Comerci, Luca Guerrieri, Eutizio Vittori) e Università dell’Insubria (Alessandro M. Michetti). La scala ESI 2007, presentata oggi in una conferenza stampa, è stata ratificata nel luglio scorso dall’Inqua (International Union for Quaternary Research) e rientra tra le attività promosse per l’Anno Internazionale del Pianeta Terra.
“Storicamente le scale macrosismiche, che permettono di paragonare gli effetti dei terremoti nello spazio e nel tempo, basano il grado di intensità su tre fattori: gli effetti prodotti sull’uomo, sulle strutture antropiche e sull’ambiente naturale”, spiega Sabina Porfido dell’Istituto per l’Ambiente Marino e Costiero (Iamc-Cnr) di Napoli. “Quest’ultimo aspetto è stato, però, talvolta sottostimato, pur costituendo un importantissimo fattore di valutazione. La scala ESI 2007, costituita da 12 gradi di intensità, analoghi a quelli delle scale tradizionali, si basa invece esclusivamente sugli effetti indotti sull’ambiente fisico, come ad esempio: fagliazioni superficiali (quando il piano di rottura delle faglie raggiunge e taglia la superficie), fenomeni di subsidenza (abbassamenti del suolo), uplift (sollevamento del suolo), liquefazioni, fratture al suolo, fenomeni franosi, variazioni idrologiche (variazioni di portata e di attività chimica nelle sorgenti e nei corsi d’acqua) e tsunami”.
“La scala è stata elaborata grazie alla revisione critica dei dati di un elevato numero di terremoti avvenuti in Asia (tra cui quello, catastrofico, di Sumatra del 2004), America meridionale e settentrionale, Medioriente ed Europa (di cui 150 avvenuti in Italia)”, aggiunge Eliana Esposito dell’Iamc-Cnr. “La ESI 2007 può integrare le scale tradizionali come la Mercalli Cancani Sieberg–MCS, che si basano essenzialmente sui danni agli edifici, sostituendole per i gradi superiori al X, quando la maggior parte delle costruzioni risultano distrutte o quando i sismi si verificano in aree per nulla o poco abitate, e dunque gli indicatori degli effetti sull’ambiente sono gli unici disponibili. L’obiettivo della nuova scala è una migliore individuazione delle zone sismogenetiche, con la prospettiva della riduzione del rischio nello scenario di futuri eventi sismici”.
Qualche esempio della sua applicazione? Generalmente il terremoto come fenomeno naturale tende a ripetersi nelle stesse zone nel corso degli anni, provocando anche gli stessi effetti sull’ambiente naturale. Il territorio di San Giorgio la Molara (BN), ad esempio, è stato sconvolto da estesi fenomeni franosi a seguito dei terremoti del 1688, 1805, 1930 nonché dall’ultimo evento catastrofico che ha colpito l’Irpinia e la Basilicata nel 1980. Tenere conto di ciò significa non solo effettuare una valutazione corretta dell’intensità e di conseguenza della pericolosità sismica del sito, ma anche predisporre tutte le azioni necessarie per prevenire e ridurre il livello di impatto del terremoto a scala locale e regionale .
Una corretta ed adeguata valutazione degli effetti sismoindotti sull’ambiente, inoltre potrebbe evitare prospettive estremamente devastanti, come nel caso del terremoto che ha colpito il Giappone centrale lo scorso luglio, mettendo a rischio la centrale nucleare di Kashiwazaki. Infatti gli esperti giapponesi, pur avendo ipotizzato l’eventualità di un terremoto di forte energia, non avevano considerato i possibili fenomeni franosi indotti dal sisma, che di fatto, si sono verificati poco a ridosso della stessa centrale nucleare. E’ evidente che se questa fosse stata coinvolta direttamente dalla frana i danni sarebbero stati incalcolabili.