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“Il rumore delle parole” un romanzo di Vittorio Andreoli

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“Il rumore delle parole” un romanzo di Vittorio Andreoli

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Paesaggio Letterali Settimanali

Psichiatra di fama mondiale – è stato direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona – e membro della New York Academy of Sciences, Vittorino Andreoli è presidente del Section Committee on Psychopathology of Expression della World Psychiatric Association.

È autore di libri che spaziano dalla medicina alla letteratura alla poesia, e collabora con la rivista Mente e Cervello e con il giornale Avvenire.

Fa lo psichiatra e ama, da sempre, raccontare e raccontarsi.

Lo fa anche nel 2019, uscendo in libreria con Il rumore delle parole edito da Rizzoli, romanzo che ha per protagonista un anziano che vive solo al piano alto di un grattacielo all’italiana e da lì, per vincere la sua solitudine, comincia a tenere lezioni via web a un pubblico che, con una certa sorpresa, scopre crescente.
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Lezioni su parole importanti come democrazia, bellezza e vecchiaia.

Vittorino Andreoli mette in scena in queste sue nuove pagine un teatro della verità a tratti autobiografico.

Smaschera i pregiudizi del nostro tempo ovvero la vecchiaia come l’età della vergogna, riaffermando invece che la fragilità del vecchio è la rappresentazione della condizione umana, del significato stesso dell’uomo nel mondo.

l silenzio nel tempo presente è morto, e nessuno sembra disperarsene, avvertirne la perdita” ricorda Andreoli.

Il silenzio anzi spaventa e lo si cancella al solo pensiero che possa avvolgerci.

Si sente invece il fascino del rumore.

La scelta quindi non è tra rumore e silenzio, ma tra i mille rumori possibili.

Nelle discoteche non si ascolta musica, ma il rumore mettendo a rischio di lesione l’orecchio perché il rumore piace.

È uno stimolante come una pozione magica.

La montagna che era luogo di silenzio con gli spazi infiniti, con la roccia che continua con il cielo e con l’eterno, ora è un folle concentrarsi di macchine e di corpi lungo le strade, vicino alle auto parcheggiate con le radio accese, le bocche che urlano.

A pochi passi di distanza dalla strada non c’è nessuno e quel silenzio sembra sprecato.

Si cerca il rumore.

L’identità di questa civiltà è il rumore.

La civiltà del rumore.

Il televisore in casa è sempre acceso.

Il cellulare sempre accesso e in mano.

Ci sono persone che non lo spengono nemmeno la notte.

Nelle nostre case ci sono tanti rumori, poche parole e comunque silenzio mai.

Il silenzio della meditazione?

E’ morto anch’esso.

Insomma non c’è un silenzio fuori di noi, quello del deserto, quando il vento è immobile, o di un canyon sperduto.

Ma c’è silenzio dentro di noi, che ci nega la pace interiore.

Perché la solitudine, qualche volta è positiva, utile, serve a far chiarezza dentro noi stessi.
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Il vecchio abbandonato protagonista del nuovo romanzo di Andreoli usa il web per raccontare delle cose, visto che nessuno lo va a trovare.

Non esce mai, non incontra nessuno, nemmeno i figli o i nipoti lo vanno a trovare.

Il mondo che sta là fuori è estraneo, eppure lui sente che, pur non avendo più alcun ruolo sociale, la sua esistenza ha ancora un senso.

Vecchiaia e mondo digitale: non è un rapporto facile.

Diciamo pure che i vecchi ne sono un po’ vittime: fanno fatica ad accogliere un mondo che è lontanissimo dal proprio.

Non è così per il protagonista de Il rumore delle parole.

Lui decide di sedersi davanti a un microfono e, invece di rompere la sua solitudine varcando la porta di casa diretto al bar o ai giardinetti, apre la porta verso l’universo virtuale ed entra nella rete.

Con grande sospetto e incertezza racconta le sue riflessioni su alcune parole che hanno riempito la sua esistenza.

E su queste parole costruisce lezioni virtuali.

Le sue sono parole al vento o c’è qualcuno disposto ad ascoltarlo?

Con un certo stupore il vecchio scopre che il suo pubblico cresce lezione dopo lezione.

Abbattuto il muro che lo escludeva da qualsiasi relazione, si rende conto di avere di nuovo una voce.

Sa di essere fragile, ma è proprio quella fragilità a renderlo più umano.

Nella dimensione del noi che emerge a poco a poco, capisce che l’unica cosa che conta davvero è il presente e che “vivere non è parlare, ma correre da chi ha bisogno“.

RECENSIONE DI ROBERTO FIORINI