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La Musica che gira intorno, alla scoperta dei Radiohead

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La Musica che gira intorno, alla scoperta dei Radiohead

RUBRICA A CURA DI ROBERTO FIORINI

Si dice che nei dintorni di Londra abiti una signora che, munita di annaffiatoio di plastica verde, si prende cura della sua pianta cinese coltivata in un giardino artificiale.

Si narra anche che tale signora conviva con un uomo di polistirolo che negli anni 80 faceva il chirurgo plastico.

Se dopo avere letto queste righe pensate alle famigerate fake news non siete nel posto giusto. Se invece vi viene in mente comunque la parola fake, ma associate il quadro descritto a un brano che ha segnato la vostra adolescenza siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

Quinto appuntamento con La Musica che gira intorno.

Oggi decido di parlare di Fake Plastic Trees, il del terzo estratto dal secondo album dei Radiohead dal titolo The Bends.
Fake-Plastic-Trees

Fake Plastic Trees è considerata un punto di svolta nella carriera dei primi Radiohead, che si allontanano dalle sonorità post-grunge del loro primo singolo Creep.

Ascoltiamolo innanzitutto nella versione originale da 27 milioni di visualizzazioni:

https://www.youtube.com/watch?v=n5h0qHwNrHk

Nel 1994 i Radiohead, reduci dalla conquista dell’America con un singolo titanico come Creep, sono chiamati a confermarsi con un nuovo disco.

Dopo una simile hit la strada dovrebbe essere in discesa, ma in realtà non è così.

La band si trova tra l’incudine – l’etichetta che preme per un follow-up in grado di bissare l’exploit – e il martello ovvero la ferma volontà di sganciarsi dall’odiato marchio di band leggermente grunge appiccicatogli dalla stampa.

Inoltre il tour è stato molto lungo, quasi due anni di concerti, e poco proficuo in termini di autostima.

Thom Yorke, il cantante, ricorda che il pubblico se ne andava dopo l’esecuzione del singolo nel bel mezzo del live.

La loro carriera è appena iniziata, ma il desiderio di evolversi è già tangibile.

Nella mente di Yorke è intrappolata una melodia che non riesce a materializzarsi.

Finchè un giorno decide di lasciarsi andare e scrive tutto quello che gli passa per la testa, costruendo una fiaba conturbante che trae spunto da un parco londinese costituito per lo più da vegetazione artificiale.

Un testo estremamente divertente, uno scherzo che in realtà non è uno scherzo.

L’albero artificiale non ha nessun bisogno di acqua, anche perché le sue radici affondano in un terreno non organico.

Eppure, la protagonista decide di annaffiarlo.
Radiohead_1

ake Plastic Tree sia per il significato che per il suono è a mio parere uno dei brani più belli della storia della musica rock.

Thom Yorke urla con dolore la sua impossibilità di opporsi a un amore di plastica che lo tiene imprigionato.

Del resto è vero, ci troviamo spesso in situazioni che razionalmente eviteremo volentieri.

E nonostante la soluzione sia davanti ai nostri nocchi non riusciamo a fare altro che assecondare il nostro istinto.

Thom registra il brano in versione acustica e poi scoppia in lacrime.

Ci vogliono poi mesi per curare nei minimi dettagli l’arrangiamento di Fake Plastic Trees, che rischia di non vedere la luce per l’intervento dell’etichetta americana: che pretende di remixare il pezzo per renderlo più appetibile al mercato interno.

In una intervista Torke racconta che “la canzone nacque subito dopo aver assistito ad un concerto di Jeff Buckley; appena il gruppo tornò in studio Thom Yorke registrò le parti vocali in due riprese”.

Il video della canzone fu girato dentro un supermercato in cui la plastica regnava.

Una critica verso un mondo che sa di plastica.

Colonizzato da una alienazione profonda e totale da cui il ritornello trascinante ci porta via lontano.

Velata e struggente Fake Plastic Tree – a mio avviso una dei brani piu’ belli dei Radiohead – in un crescendo travolgente è sostenuta da esili accordi appoggiati su tappeti di tastiere che conferiscono alla canzone una intensità straordinaria.
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