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Immagini in azione. Quattro chiacchiere sull’immaginazione

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Immagini in azione. Quattro chiacchiere sull’immaginazione

A tutti noi capita di chiedersi cosa succede quando immaginiamo. In tempi di chiusura fisica, l’uscire con l’immaginazione potrebbe raccontarci quel che psicologi e artisti sanno già e cioè che le immagini sono il tessuto portante della realtà. Le immagini sono ciò che muove l’emozione.

Sono immediate come immediato è, nel mondo materiale, il contatto visivo con i colori e le forme, anche quando sfuggono alla mente razionale. Essenziale diventa allora fare qualche pensiero sull’immaginazione, anche per portarci un po’ più là, rispetto a ciò che percepiscono i nostri occhi.

Intanto, possiamo cominciare sentendoci confortati da generazioni di filosofi (parlo degli studiosi di Teoria della ricezione, di James Hillman nei libri dove parla di “fare anima”, o di Mikel Dufrenne, in Fenomenologia dell’esperienza estetica e tralascio i tantissimi neuroscienziati che se ne occupano), da sempre interessati alle somiglianze e differenze esistenti tra percezione e immaginazione.

Percepisco questo oggetto coi miei sensi, ma anche quando lo immagino sto mettendo in atto i miei sensi e contemporaneamente sto facendo uso di un tipo di immaginazione sensoriale che possiamo chiamare tranquillamente “visualizzazione”.

La differenza tra percepire e immaginare una mela dunque, è stato per i filosofi un bel problema, specie laddove si accorgevano che entrambe le facoltà erano accompagnate seppure in maniera diversa dall’attenzione. Molti di loro sottolineano come l’immaginazione sensoriale, a differenza delle esperienze percettive richieda molta più attenzione. Ma la questione è controversa.

La vera sfida sta nel fatto che mentre si immagina non c’è niente di equivalente al campo visivo. L’attenzione non ha tutto quello che essa può esplorare nella percezione, eppure capiamo che si tratta di un ruolo di primo piano, anche se ci sono aspetti complessi. Intanto, quello di cui ci accorgiamo quotidianamente: l’immaginazione non è mai piena e perfetta.

Insomma, se fosse un’immagine impressa su carta, un fotografo ci direbbe che quei colori e quelle forme non sono sufficientemente saturate, alcune sono addirittura monocolore, altre hanno contorni indefiniti o sono esattamente quel che rappresentano. Insomma, ciò che immaginiamo non può fornire nuove informazioni riguardo a ciò che viene immaginato.

Addirittura, qualcuno sostiene che le immagini immaginate siano trasparenti, ma questa non è un’interpretazione condivisa da tutti. Qui si entra infatti in un terreno minato che suppone che quando prestiamo attenzione a ciò che percepiamo o a ciò che immaginiamo, in entrambi i casi non possiamo fare affidamento ad una “cosa” interna, già dotata di una sua forma “a priori”.

Non c’è alcuna immagine stabile della mela dentro di me (direbbe Renè Magritte), ci sono soltanto gli oggetti rappresentati per mezzo dell’immaginazione o della percezione.

L’idea che mi sembra interessante è che l’immaginare dipende in modo essenziale dall’attenzione. Sia ciò che percepisco che ciò che immagino si relazionano in modo molto differente alla facoltà dell’attenzione.

Io posso prestare attenzione a ciò che sto vedendo, o posso non farlo. Con le immagini è diverso: noi non abbiamo questa scelta! Pertanto se voglio immaginare, devo necessariamente prestare attenzione.

Questo assunto fa venire in mente che dall’altra parte, è possibile dire che possono esserci aspetti inosservati di ciò che viene percepito, ma non di ciò che viene immaginato. Dal momento che non presto (e forse non potrei prestare) attenzione a tutto ciò che c’è nel mio campo visivo, ci sono aspetti del modo in cui guardo le cose che mi sfuggono:

in altre parole, io vedo molto più di quanto posso riferire o di quanto posso ricordare. Questa cosa accade quando sogno ma molto meno quando immagino. Qui le immagini sono poco saturate e se non metto attenzione, ciò che percepisco avrà sempre la meglio.

Provate a fare questo piccolo esperimento: formatevi un’immagine visiva e una uditiva simultaneamente e immaginatele entrambe. È difficile vero? Qualcuno dice che addirittura sia “impossibile” e c’è da crederci visto che ci vuole una doppia dose di concentrazione capace di distribuire la vostra attenzione per farlo.

Ora provate a sperimentare percezioni uditive e visive reali e sincronizzate il tutto. Non è necessaria alcuna distribuzione dell’attenzione per portare a termine quest’impresa – anzi, non si tratta affatto di un’impresa! Non richiedono alcuno sforzo, né hanno bisogno del controllo mentale di un monaco tibetano per distribuire l’attenzione.

Ora però, se togliamo l’attenzione alla mela percepita ci renderemo conto che anche per vedere ho bisogno di stare attento.

Famosissimo è quell’esperimento in cui viene chiesto di guardare un video in cui alcuni giocatori di basket si passano la palla impegnati a contare quanti passaggi vengono effettuati, e non si accorgono che una persona con un costume da gorilla cammina sino al centro della scena osservata e si ferma per alcuni secondi proprio al centro, battendosi il petto, prima di riprendere il cammino e uscire di scena.

Questo e simili esempi sembrano difficili da spiegare se non supponendo che, quando l’attenzione viene spostata da qualche altra parte, persino le intrusioni più ovvie e vistose nel campo visivo possono passare inosservate.

Questo significa a mio avviso che abbracciare un’idea dell’immaginazione come qualcosa che assegna all’attenzione un ruolo analogo (benché ovviamente non identico) a quello che essa ha nella normale percezione può voler dire che per saper immaginare occorre percepire e che in entrambi i casi dobbiamo giocare come fanno i bambini. Molto seriamente.

 

Matilde Puleo