Home Arezzo Squarci di paesaggio quattrocentesco e divulgazione. Come è fatto un buon libro d’arte?

Squarci di paesaggio quattrocentesco e divulgazione. Come è fatto un buon libro d’arte?

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Squarci di paesaggio quattrocentesco e divulgazione. Come è fatto un buon libro d’arte?

Cavalli morti, intreccio di zoccoli e zampe all’aria, quasi fosse una guerra tra equini e non tra uomini. Mentre i cadaveri umani sono a terra, ciò che balza agli occhi è la rappresentazione di una città senza leggi, in attesa della riorganizzazione della società.

Non è l’inizio di un film di fantascienza. È l’immagine pierfrancescana più amata dagli storici dell’arte che consigliamo questa settimana. Le letture sono quelle di due autori eccellenti: Carlo Ginzburg e Silvia Ronchey. La scena descritta invece, è quella memorabile della “La Battaglia di Eraclio e Cosroe” e dunque di una materia complessa come la bizantistica che si porta addosso, più o meno a ragione, un alone di erudizione, di muffa e polverosità che questi due autori rendono però facilmente divulgabile.

Già il contesto storico della metà del 400 – tema anche questo non facilissimo (specie se non si vuole scadere nella banalità)  – è la cornice dentro la quale collocare la fine dell’impero romano d’oriente, data con la quale i due studiosi ci hanno tirato fuori libri che nonostante l’argomento, hanno saputo come dicevamo creare capitoli carichi di un certo appeal.

Entrambi i nomi, oltre a quelli classi di Roberto Longhi o Bernard Berenson, hanno saputo coi loro saggi filologici, da storici bizantini con competenze nel campo dell’iconografia e della storia dell’arte, uscire fuori dal loro ristretto ambito di rivista di settore e aprirsi ad un successo di pubblico e di non specialisti che è attualmente difficilmente replicabile.

I loro libri sono un vero conforto per chi pensa che la divulgazione dei risultati di una serie di ricerche possa avere sfoghi non accademici e non debba essere riservata ai soli colleghi dello stesso gruppo disciplinare.

Ad essere precisi, questi due autori hanno dato alla comunicazione culturale anzitutto il ruolo che le compete, dando prova di una grande capacità di rivolgersi a un pubblico di persone colte, ma non specialisti, mirando a un target di lettori intellettualmente vivaci, ma non per forza addetti ai lavori, interessati all’aggiornamento degli studi di scienze umane soprattutto perché interessati all’uomo.

Come è fatto quindi un buon libro divulgativo? Il pregio sta nella strutturazione formale del saggio. Di solito si alternano capitoli di ricostruzione storica e letteraria a capitoli di storia culturale e delle idee. Sono presenti parti dove si racconta la metodologia della storia dell’arte e altri dove il racconto della storia fa intuire il fascino dell’iconologia.

In una gamma molto varia di registri retorici, i loro saggi offrono passaggi personali nei quali trovano spazio anche pagine di diario dello studioso che si concede al racconto condividendo la sua esperienza di ricercatore.

Queste parti di solito restituiscono al lettore un tono colloquiale col quale raccontare l’emozione di avere tra le mani le carte d’archivio, quella del rovistare scatole e trovare manoscritti, mettendo le mani sui documenti e materiali preziosi, anche di grande valore artistico.

Quando poi lo studioso progetta anche capitoli ai quali affidare ‘la confessione’ dei dubbi o della parzialità del loro sapere messo alla prova con coraggio, allora è possibile che compaiano anche sezioni narrative diverse e perfino qualche capitolo fatto solo di dialoghi inevitabilmente adorabili. A questo punto siamo già immersi nella materia e le loro questioni diventano le nostre.

Negli studi rivolti agli affreschi di Piero ad Arezzo ad esempio, la questione della datazione diventa cruciale. Entrambi si chiedono se questa importante commissione possa rendere conto del tentativo romano di organizzare una nuova, (l’ultima?) crociata per andare in aiuto ad un impero ormai morente, riscattare l’onore dell’impero bizantino e liberare i territori occupati dal Turco. Insomma, la questione è: ci si prepara a quel fatidico 1453 (anno della caduta di Costantinopoli da immaginare come la fine di una civiltà) oppure no?

Ciò che attira moltissimo è che in questi libri tutto ruota intorno all’immagine. È l’immagine che cattura l’attenzione del ricercatore prima e del lettore poi, che a lettura ultimata è diventato investigatore amante del dettaglio!

La potenza dell’immagine ha sempre la meglio su quella della parola, sia al momento in cui lo studioso sceglie il tema, sia nel momento nel quale mette in azione tutto il suo armamentario metodologico, utile a sostenere la sua ricerca.

Poi ci piacciono molto le loro domande, le questioni poste direttamente a noi che leggiamo a proposito del fatto che il Rinascimento italiano sembra essere il luogo nel quale si stimolano in modo positivo moltissime competenze diverse.

Ma la domanda è: siamo sicuri che in questa nuova abitudine a infilare dentro quel periodo tutto ciò che sappiamo in termini storici, filosofici o matematici a cui si aggiungono le novità determinate dagli studi iconografici e iconologici non ci sia il rischio di una specie di super-interpretazione?

Sarà giusto considerare come segnali di specifiche intenzioni dell’artista alcuni elementi iconografici (l’idolo sulla colonna; il cappello da Paleologo; la scala di Piero della Francesca, presenti in molte delle sue opere di questo periodo) o stilistici (come la doppia fonte di luce o la regolarità albertiana del muro di fondo)?

Non sarà che il dilettante, chi ama il lavoro di Piero della Francesca o semplicemente il non-storico dell’arte che si cimenta nell’indagine iconologica prende per eccezionali alcuni elementi compositivi che in realtà sono più che frequenti e ‘normali’ nelle convenzioni pittoriche del tempo?

Insomma, siamo sicuri che la suggestione del Concilio del 1439 (quello durante il quale nasce il Vin Santo, per intendersi) sia così forte da investire opere e artisti anche a distanza di decenni? O non sarà che forse, questa lettura ci rimanda a una specie di 11 settembre ante litteram della quale vogliamo saperne gli esiti?

Libri importanti dunque, che non accendono soltanto l’interesse del pubblico, ma in via più generale sollevano questioni importanti sotto il profilo del metodo della storia dell’arte, ancora tutto da ridefinire.

Matilde Puleo

Libri:

Silvia Ronchey, L’enigma di Piero: l’ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro, Rizzoli 2006

Carlo Ginzburg, Indagini su Piero -Il Battesimo. Il ciclo di Arezzo. La flagellazione di Urbino. Con l’aggiunta di quattro appendici, Einaudi 2001