Il Minculpop era niente in confronto, siamo alla psicopolizia

di Stefano Pezzola

Da quando Donatella Di Cesare ha utilizzato il termine “nuovo maccartismo” per denunciare il clima di intimidazione che si respira contro chi sostiene idee in controtendenza sulla guerra della Russia all’Ucraina, comincio a credere che questo clima del “vietato dissentire in era Covid” stia raggiungendo vette inaspettate.
Eppure il filosofo britannico Bertrand Russell scriveva “rendete la vita degna di essere raccontata” ricordandoci di “non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porci domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Perchè non esiste la verità assoluta”.

Ed ancora con il suo accorato appello ci ricordava di “non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro – scriveva – siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo perché il dissenso è un’arma. Siate sempre informati e non chiudetevi alla conoscenza perché anche il sapere è un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai“.

Da qualche tempo però ho la netta impressione che nel nostro Paese manchi qualcosa di importante.
Un’assenza che crea una voragine vera e propria nella nostra società, ma ancor più nel sistema democratico.
Nell’Italia di Draghi infatti mancano l’opposizione, la dialettica politica, il confronto e soprattutto il dissenso.
L’opinione contraria di norma da rispettare e con cui aprire il doveroso dialogo, è oramai ritenuta una fastidiosa appendice.

Del dissenso quindi si può fare a meno, così da non perdere troppo tempo tra una privatizzazione, un’entrata in guerra, un taglio ai fondi alla scuola e alla sanità ed uno stato di emergenza.
Percepisco una mancanza di verità oggettiva.
Di un giornalismo neutro, nei limiti del possibile non schierato, ovvero non di parte.
Oggi leggiamo soltanto notizie confezionate dai media tramite la semplice raccolta delle veline ministeriali.

Viviamo un periodo curioso e bizzarro, gli anni delle fake news: da una parte quelle divulgate dallo Stato e dall’altra quelle di chi lo contesta aspramente.
In mezzo, il disorientamento dell’opinione pubblica, teledipendente e pronta a credere a tutte le veline di stato vestite da articoli di giornale e i  servizi televisivi vestiti da inchieste.

Rendere barbaro chi dissente.
Una nuova era borbonica: farina, feste e forche.
Quasi una patologizzazione del dissenso: chi critica il Sistema va curato.
I casi di censura, boicottaggio e attacchi sempre più spietati contro l’informazione indipendente si fanno ormai quotidiani.
Ci troviamo di fronte a un atteggiamento paternalistico, autoritario e scientista del potere che mira a ottenere cieca obbedienza da parte dei cittadini e nel caso che questi si rifiutino di sottomettersi in modo acritico, di poter correggere il comportamento e il pensiero di costoro attraverso la psichiatria o tecnologia.

Il totalitarismo dei buoni sentimenti – buoni in apparenza – ha i suoi cani da guardia pronti a riportare all’ovile chiunque dissenta od osi manifestare pubblicamente dei dubbi.
Oggi la psicopolizia sembra pronta a elaborare nuovi strumenti degni di una psicodittatura.

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