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L’Incontrada a Vanity Fair: ‘Le donne di Zelig mi facevano la guerra’

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L’Incontrada a Vanity Fair: ‘Le donne di Zelig mi facevano la guerra’

Milano – Non ha paura di recitare a teatro nei panni di un uomo (a breve porta in tournée la commedia di Plauto Miles gloriosus in cui interpreta la parte del protagonista maschile), non la spaventa il ruolo del grande amore di Caruso in tv, non sente il bisogno di sposare il padre del suo bambino («Non mi serve un pezzo di carta per considerare Rossano mio marito»). Ma qualcosa che riesce a ferire Vanessa Incontrada c'è: il ricordo dei sensi di colpa, quando doveva lasciare suo figlio per lavorare e quello amaro delle colleghe a Zelig, di cui racconta per la prima volta a Vanity Fair – che le dedica la copertina – in edicola dal 13 luglio.

«È successo una domenica. Dovevo andare a Milano a fare le prove e, per la prima volta, la cosa mi pesava da morire. Lavorare, anche quattordici ore di fila, non era mai stato un problema per me. Eppure quel giorno avrei pagato qualunque cifra pur di non andare». Si parla di Zelig, il programma che la Incontrada ha condotto per sei stagioni in tandem con Claudio Bisio, e che l’anno scorso ha lasciato, sostituita da Paola Cortellesi, con un comunicato dove motivava la sua decisione con la necessità «di volgere lo sguardo altrove». Nei mesi successivi, però, non ha mai fatto mistero della sofferenza che questo distacco le ha procurato, tanto da far sorgere un sospetto: che la scelta di lasciare Zelig fosse dettata da motivi più profondi e non detti. E quando quei motivi vengono improvvisamente fuori, è come se fosse saltato un tappo: Vanessa non smette di parlare e di piangere. Perché le pesava tanto andare alle prove di Zelig? «Si era rotto qualcosa con le persone con cui lavoravo. L’ambiente è sempre stato maschile – ci lavorano cento uomini e forse una quindicina di donne – e maschilista. Ma la cosa più triste è che proprio delle donne ho un brutto ricordo». Perché? «A parte tre o quattro di loro, tra cui la sarta e la mia vocal coach, non hanno mostrato alcuna solidarietà nei miei confronti quando sono diventata mamma. Già durante la gravidanza, mentre tutti mi attaccavano per il peso, non una che mi abbia detto: mi spiace. E poi, quando è nato Isal (3 anni, avuto dal compagno Rossano Laurini, ndr), le cose sono persino peggiorate». In che modo? «Non c’era la minima comprensione se dicevo che la domenica non potevo andare alle prove, o se arrivavo alle 5 e non alle 4 perché il bambino aveva 38 di febbre. Neanche fossi andata con le amiche a prendere l’aperitivo. Il tempo per mandarmi un messaggio con scritto “Convocazione alle due” ce l’avevano sempre, ma quello per scrivermi “Come sta il bimbo?” in due anni non l’hanno mai trovato». Qualcuno potrebbe obiettarle che il privato non deve incidere sul lato professionale. «Sul lavoro ho sempre dato il massimo e, anche una volta diventata madre, non mi sono certo risparmiata. Per tornare a condurre ho lasciato quella creatura quando aveva un mese e mezzo. Sa che vuol dire?». Provi a spiegarlo. «Vivere con eterni sensi di colpa, soffrire come un cane. Ma era il mio lavoro, che avrei dovuto fare? Tutte le settimane da Follonica a Milano, 400 chilometri di andata e 400 di ritorno. A Zelig mi dicevano: “Se è troppo lontano, rimani qui”. Ma che cosa vuol dire rimani qui se ho il bambino là? Avete dei figli, voi?». Li avevano? «No, non li avevano. E non capivano che un bambino, dopo essere stato nove mesi dentro di te, nei primi anni di vita ha ancora bisogno di quel calore, di quella presenza. Ho chiesto che mi venissero incontro, un aiuto, ma non me l’hanno dato. Allora il mio atteggiamento nei loro confronti è diventato di indifferenza. Ma il dolore è rimasto e me lo porterò sempre dentro, a quarant’anni e anche a cinquanta. Per questo me ne sono andata. Con Zelig è finita quando sono diventata mamma». Decisione impulsiva o meditata? «Meditata, a lungo. Non sono una che taglia facilmente, cerco sempre di dare alle persone e alle situazioni una seconda possibilità. Ma non è servito». Con Bisio si era confidata? «No, ho preferito non coinvolgerlo: non volevo che subisse condizionamenti». Però siete amici. «Lui va oltre Zelig. A una diffidente come me ha fatto scoprire che, anche in questo ambiente, l’amicizia tra colleghi può esistere». Può esistere anche qualcosa di più? «Il nostro è un rapporto unico, ci frequentiamo con le nostre famiglie: sono innamorata di sua moglie più che di lui». Contenta di essere tornata in forma? «Non ho certo il corpo che avevo a vent’anni, ma va bene così. Non mi sono mai disperata per i chili di troppo». A Vanity ha raccontato l’umiliazione di sentirsi chiamare grassa. «A farmi soffrire di più era stata l’insensibilità delle colleghe di lavoro. Quella storia l’ho tirata fuori per sostenere le donne normali e rivendicare il loro diritto di vivere serenamente la gravidanza. Non immaginavo quello che sarebbe successo. Mi hanno scritto in migliaia. Per questo ho deciso di scrivere un libro sull’argomento: uscirà a fine anno».
a fotogallery è disponibile sul sito di Vanity Fair http://www.vanityfair.it/people/italia/2011/07/12/vanessa-incontrada-intervista