Una nuova ricerca condotta dalla campagna Control Arms ha rivelato che
proiettili prodotti in Grecia, Cina, Russia e Usa sono stati trovati nelle
mani dei gruppi ribelli che agiscono nella regione orientale della
Repubblica democratica del Congo (Rdc), che si trova sotto un embargo
dell’Onu.
Secondo i tre promotori della campagna Control Arms (Amnesty
International, Oxfam International e Iansa, la Rete internazionale
d’azione sulle armi leggere), questo scandalo sottolinea ancora una volta
la necessita’ di un Trattato internazionale sul commercio di armi, in
grado di fermare il flusso di armi nelle zone di conflitto. Tra una
settimana, l’Onu dovrebbe mettere ai voti una risoluzione per avviare i
lavori sul Trattato.
Il fatto che, probabilmente per la prima volta, proiettili prodotti in
Grecia e Usa vengono trovati nella Rdc orientale, e’ la prova del
crescente flusso globale di armi che sta alimentando i combattimenti nella
regione. La ricerca della campagna Control Arms, condotta nel settembre di
quest’anno, ha consentito di rinvenire, a tre anni di distanza
dall’imposizione dell’embargo dell’Onu, una serie di armi e munizioni
prodotte anche in Russia, Cina, Serbia e Sudafrica.
Secondo i responsabili della campagna Control Arms, e’ molto difficile che
le armi e le munizioni in questione siano state vendute direttamente ai
ribelli della Rdc, cosa che costituirebbe una violazione dell’embargo Onu
sulle armi. Piu’ probabilmente, esse sono entrate nel distretto dell’Ituri
dai paesi confinanti. Questo e’ un ulteriore esempio di quanto sia
necessario stabilire standard globali sulle vendite di armi, basati sul
diritto internazionale.
‘Siamo di fronte solo a un esempio di come controlli insufficienti sulle
armi alimentino i conflitti e la sofferenza a livello mondiale. Gli
embarghi dell’Onu sono come dighe contro l’alta marea: da soli, non
possono impedire i flussi delle armi. Solo un rigoroso Trattato
internazionale sul commercio di armi potra’ fermare l’ingresso delle armi
nelle zone di guerra’ – ha dichiarato Jeremy Hobbs, Direttore di Oxfam
International.
La scorsa settimana, alle Nazioni Unite, 7 governi hanno presentato una
risoluzione (co-sponsorizzata da altri 77 governi, tra cui quello
italiano) per iniziare i lavori sul Trattato. La risoluzione dovrebbe
essere votata dal Primo Comitato dell’Assemblea Generale all’inizio della
prossima settimana.
La campagna Control Arms, sostenuta da 20 premi Nobel per la pace, chiede
dal 2003 l’adozione di un Trattato internazionale sul commercio di armi
che impedisca i trasferimenti di armi e altre forniture militari laddove
vi sia il chiaro rischio che esse verranno usate per compiere gravi
violazioni dei diritti umani, per alimentare i conflitti o pregiudicare lo
sviluppo.
‘I gruppi ribelli nella Rdc orientale hanno un raccapricciante curriculum
di stupri, torture, uccisioni di civili e arruolamento di bambine e
bambini soldato. Il fatto che proiettili da cosi’ tanti paesi abbiano
favorito tutto questo e’ un’altra conferma che il Trattato deve diventare
una realta’’ – ha commentato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty
International.
Si stima che dal 1998 il conflitto nella Rdc abbia provocato 3,8 milioni
di morti. Nonostante l’accordo di pace del 2002, nell’est del paese i
combattimenti infuriano ancora, alimentati da armi e munizioni provenienti
da ogni parte del mondo. Tra i materiali rinvenuti dai ricercatori della
campagna Control Arms e di cui non e’ stato possibile determinare con
esattezza il percorso, figurano:
– proiettili per fucili ad alta precisione prodotti dalla Federal
Cartridge Company statunitense;
– proiettili per fucili prodotti dalla Pyrkal Greek Powder & Cartridge
Company alla fine degli anni ’80;
– un fucile d’assalto R4 prodotto in Sudafrica;
– fucili d’assalto made in China e una pistola di origine serba, gli uni e
l’altra danneggiati, il che fa supporre che siano stati sotterrati o
conservati in luogo umido.
Si ritiene che dal 50 al 60 per cento delle armi usate nella Rdc siano
Ak-47.
‘Con 1000 morti ammazzati al giorno dalla violenza delle armi, i governi
non possono piu’ tollerare ulteriormente questo film dell’orrore che si
riproduce nella Rdc, in Colombia, in Iraq… E’ giunto il momento che un
Trattato internazionale sul commercio di armi impedisca a queste armi di
finire nelle mani sbagliate’ – ha dichiarato Charles Nasibu, congolese,
ricercatore sulle armi leggere, attivista di Iansa.
Ulteriori informazioni
Nel settembre di quest’anno, i ricercatori della campagna Control Arms
hanno visitato una serie di edifici a Bunia (distretto di Ituri, Rdc
orientale) per ottenere le prove fotografiche delle armi e delle munizioni
finite nelle mani dei ribelli, dall’imposizione dell’embargo Onu del
luglio 2003. Una precedente missione nell’Ituri aveva avuto luogo nel
novembre 2005. I gruppi armati che agiscono nell’Ituri e nel vicino
distretto del Kivu settentrionale sono sottoposti a vari embarghi: oltre a
quello dell’Onu, e’ tuttora in vigore quello dell’Unione europea,
istituito nell’aprile 1993.
I numeri di serie e altri segni rilevanti, come i codici di fabbricazione
stampati sulle cartucce e sui fucili, sono stati identificati da esperti
internazionali in materia di armi e hanno condotto all’individuazione di
armi prodotte in Grecia, Sudafrica, Serbia, Cina, Russia e Usa. Questi
ultimi tre paesi sono tra i piu’ freddi sull’adozione del Trattato
internazionale sul commercio di armi.
In Italia la campagna Control Arms e’ rilanciata dalla Sezione Italiana di
Amnesty International e dalla Rete italiana per il Disarmo. Oltre a
contribuire alla grande mobilitazione mondiale, i promotori intendono
agire per migliorare gli strumenti legislativi e di trasparenza esistenti
in Italia sul commercio di armi. Il nostro paese e’ infatti il quarto
produttore e il secondo esportatore mondiale di armi leggere, eppure la
nostra legislazione e’ vecchia di 30 anni e ad oggi non esiste alcuna
forma di controllo sugli intermediatori internazionali di armi.