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Le università italiane bocciate in malattie delle ossa

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Le università italiane bocciate in malattie delle ossa

PISA – Benché possa apparire assurdo, nelle nostre facoltà di medicina non è previsto alcun tipo di insegnamento dedicato alle malattie metaboliche dell’osso, come l’osteoporosi, e manca una specializzazione. E’ dunque un vuoto che va assolutamente riempito con corsi specializzati, se non con un apposito esame.
E’ quanto afferma oggi la Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) in chiusura del VI congresso nazionale, che ha visto impegnati a Pisa circa 1200 endocrinologi e reumatologi, geriatri e pediatri, ortopedici e ginecologi, ovvero gli specialisti che da diverse angolazioni si occupano di problemi di ossa.
Il deficit formativo che caratterizza i nostri Atenei, spiega la SIOMMMS, è tanto più incomprensibile quanto più è evidente che le malattie dello scheletro rappresentano un’emergenza sanitaria in tutto il mondo. Solo in Italia, come noto, già si contano oltre 8 milioni di ammalati di osteoporosi, 100 mila fratture del femore ogni anno e, per il sistema sanitario, spese da bancarotta. Cifre, peraltro, destinata a moltiplicarsi con il progressivo invecchiamento della popolazione.
I due presidenti del congresso, i professori Ombretta Di Munno e Claudio Marcocci, hanno inoltre organizzato riunioni congiunte con i presidenti delle Società nazionali di Ortopedia, Endocrinologia, Ginecologia e Reumatologia per concordare nuovi approcci all’osteoporosi, che come noto è una malattia trasversale, ovvero interessa tutte queste diverse discipline. Il risultato dei colloqui è che occorre trattare la malattia con terapie multidisciplinari, cosa che del resto già avviene negli Usa, Inghilterra e nei Paesi più avanzati. Nella medicina italiana si prepara dunque una piccola rivoluzione positiva, che permetterà a più specialisti di confrontarsi.
Dal punto di vista scientifico il congresso Siommms ha fatto emergere l’importanza dei fattori di rischio, tema oggetto anche della relazione del professor John Kanis dell’Università di Sheffield: fumo, alcool, età, familiarità, malattie reumatiche. In presenza di questi fattori una saggia politica di prevenzione vuole che siano trattati anche pazienti in assenza delle fratture e che anche a essi siano rimborsate le spese per i farmaci necessari. Alle donne la Siommms raccomanda di valutare i fattori di rischio.
Sempre in tema di prevenzione, il congresso ha insistito sull’utilità di una campagna annuale (adesso si fa solo in Toscana, Veneto e Piemonte) per distribuire agli anziani la preziosa Vitamina D (rinforza il tono muscolare per evitare cadute e fratture). In questo quadro si definisce l’importanza dello stile di vita: aria aperta quanto più possibile, attività fisica e alimentazione adeguata ricca di calcio.
Quanto ai farmaci, è emersa la possibilità di trattamenti sequenziali con paratormone seguito da un bisfosfonato, ossia da un antiriassorbitivo, per ottenere così un incremento di massa ossea e migliore protezione dal rischio di nuove fratture. Il paratormone va comunque somministrato in presenza di fatture o di osteoporosi grave. La novità è che può essere usato in prima istanza. I bisfosfonati si rivelano ancora una volta farmaci strategici. Per di più possono essere presi una sola volta al mese.
Una seconda novità è stata presentata dal gruppo di Firenze, diretto dall’endocrinologa Maria Luisa Brandi, presidente della SIOMMMS. Si tratta di nuovi dati di farmacogenetica che promettono importanti applicazioni cliniche nel riconoscimento di soggetti responder e non responder alle terapie antiosteoporotiche.
I materia di chirurgia, il congresso ha portato alla ribalta vertebroplastica e cifoplastica, due nuove metodiche per trattare le fratture vertebrali. Si basano su speciali tipi di cemento iniettati nel corpo della vertebra che così torna a espandersi. E’ una procedura chirurgica mininvasiva da accompagnare sempre con farmaci, che ha però il problema di creare una situazione diseguale, quella del vaso di ferro tra vasi di coccio: c’è infatti il rischio che vertebre contigue vadano incontro ad altre fratture. Queste metodiche vanno perciò usate solo con pazienti che non rispondono agli analgesici.