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Mostre: Dario Tenti – Le opere

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Mostre: Dario Tenti – Le opere

A poco più di un anno dalla scomparsa di Dario Tenti, il Comune di Anghiari rende omaggio al maestro con una mostra sulla sua produzione pittorica. Grazie alla collaborazione della famiglia e alla disponibilità di collezionisti pubblici e privati, sono state riunite le opere che meglio evidenziano il cammino artistico compiuto, a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta. Per la prima volta vengono esposti gli ultimi quadri del 2000, una sorta di trittico sul tema del bosco. Ad essi spetta il compito impegnativo di consegnarci un messaggio di commiato che, come accade di frequente, pare presagito. Per alludere al bosco – metafora della vita e luogo agognato del riposo, come precisa uno dei titoli – le superfici divengono trame rigogliose di lingue ondulanti e vivaci, con sentore delle magiche foreste del francese Rousseau. Ma di tanto in tanto si insinuano dettagli sospetti – per esempio un grande occhio – che infondono all’atmosfera dell’insieme toni di inquietudine. Viene allo scoperto l’animo turbato dell’artista, mentre si perdono le trasfigurazioni ironiche, così naturali in tempi precedenti. La cifra stilistica si allontana dai versanti già frequentati di doppia ispirazione realista ed espressionista per declinare verso accezioni maggiormente visionarie.

Dario Tenti ha insegnato a lungo nella scuola pubblica superiore Disegno e Storia dell’Arte e per quasi trenta anni, dal 1962, è stato il direttore della Galleria comunale di Arezzo d’Arte Contemporanea; raramente ha esibito il suo essere pittore, ma la pittura è stata la scoperta della sua vita, alla quale si è dedicato con passione tenace e silenziosa. Rivisti a posteriori, questi molteplici aspetti tracciano una personalità coerente, nella quale la conoscenza dell’arte si salda con il piacere di crearla.

Lui, che con Arezzo ebbe sempre un rapporto molto forte, avrebbe voluto esporre ad Anghiari, per portare i suoi quadri, dove tante volte era stato, da ragazzo, in vacanza, ospite di una famiglia di parenti. La mostra che ora si apre deriva, dunque, anche da una sottile questione sentimentale. Per chi conosceva Dario, sa bene che tutto ciò lo avrebbe appagato.
Nel parlare di sé, egli amava ricordare, soprattutto, la sua generazione e le esperienze che erano circolate tra i giovani del dopo fascismo. Allora e ancora per molto, ebbe a cuore, in qualità di promotore e di artista, gli scambi culturali tra le città vicine, tra il capoluogo e i centri della provincia. Con la carica di segretario del sindacato dei pittori, assunta nel ’53, partecipò fattivamente alla creazione di un circuito espositivo, di mostre e di concorsi, dal quale scaturiva una squadra di artisti provenienti da Arezzo e dalle vallate, inclusa la Valtiberina, con Giorgio Giannini, Attilio Brilli e Giulio Gambassi. Inutile dire che quel sistema di relazioni tra città e paese è del tutto mutato; nell’attuale scenario, la terra anghiarese si distingue per avere una vocazione speciale ad accogliere le storie degli artisti. E’ un posto di facili equilibri e di intrecci fecondi, tra la storia e la natura, tra la storia e il presente. L’attenzione mantenuta per i mestieri artistici e per la didattica dell’artigianato consentono, secondo un gioco di affinità non programmate, di apprezzare a pieno l’operato di Dario Tenti, anche negli aspetti che la mostra può solo suggerire. Il riferimento va alla cospicua produzione scultorea o in rilievo, prodotta per l’architettura, da apporre in esterno o negli spazi interni ad uso pubblico, che l’artista firmò, dapprima con i fratelli Mario e Francesco Caporali, e successivamente, fino agli anni Ottanta, con Enio Lisi. Il repertorio annovera pezzi di grande interesse, sul piano formale ed iconografico, e ancor più, sotto il profilo delle tecniche e dei materiali, dalla terracotta al cemento, al legno, al vetro.
Tanta duttilità nell’estro creativo e l’attitudine al lavoro di gruppo non possono che accrescere il sentimento di stima verso chi è stato un vero protagonista del Novecento aretino.

Articlolo scritto da: Museo della Battaglia di Anghiari