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Obesità infantile: ecco la soluzione

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Obesità infantile: ecco la soluzione

Put the clock backward, spostare indietro le lancette dell’orologio? Il ‘ritorno al passato’, ai tempi di un’alimentazione sobria per necessità più che per virtù, spesso invocato come misura per la prevenzione dell’obesità infantile, non poggia su solide basi scientifiche. L’obesità e i disturbi dell’alimentazione non sono problemi esclusivamente sanitari e ignorarne le implicazioni socio-culturali riduce il successo di qualsiasi intervento di prevenzione. “Stiamo parlando del toxic environment, l’ambiente in cui viviamo e che paradossalmente è il più adatto allo sviluppo di sovrappeso e obesità”, spiega Gianvincenzo Barba, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Cnr di Avellino, che è intervenuto al convegno ‘Il piatto piange, il ruolo dell’educazione alimentare’, svoltosi oggi a San Patrignano nell’ambito della manifestazione ‘Squisito!’.

“L’elevata disponibilità di alimenti ad alto valore energetico e basso potere saziante, come bevande zuccherine e snack dolci o salati” aggiunge Barba, “ha sicuramente un impatto sullo sviluppo di obesità se associato a scarsa attività fisica, condizionata da svaghi attraenti ma sedentari, e da un disegno urbano non favorevole ai ragazzi. Ignorare la complessità dell’ambiente significa non affrontare le cause principali di cui l’obesità sembra essere espressione”.

Complessità e cause analizzate dal progetto ARCA, uno screening dell’obesità infantile realizzato nella provincia di Avellino da Isa-Cnr e altre istituzioni su un campione di oltre 4.000 bambini tra i 6 e gli 11 anni: “Abbiamo identificato alcuni aspetti ‘ambientali’ caratteristici: il consumo di fuoripasto ad elevata densità calorica è prevalentemente extra–scolastico e le bambine mostrano una maggiore difficoltà di accesso allo sport rispetto ai bambini” precisa il ricercatore. Indicativo, poi, il rapporto tra abitudini alimentari e titolo di studio materno: il consumo di frutta aumenta partendo dal 40 per cento dei figli di mamme con licenza elementare, per salire al 45 di quelli la cui mamma ha un diploma di media inferiore, al 55 di figli di mamme diplomate alle superiori, fino al 58 per cento dei figli di laureate; inversa la tendenza per le merendine (45% figli di mamme con licenza elementari, 33 medie, 24 superiori e 21 laureate) e di bevande zuccherine (16% elementari, 7 medie, 4 superiori, zero tra i figli di laureate). “Attenzione, però”, avverte Barba, “poiché non sappiamo quante di queste risposte siano condizionate, nel target dei figli di genitori più scolarizzati, dalla conoscenza della risposta ‘giusta’. Un dubbio che si lega a quello sulla effettiva incisività delle campagne di informazione che conduciamo, forse troppo rivolte al segmento di popolazione più colto e quindi tendenzialmente già informato”.

Inoltre, sebbene l'analisi sia in corso, le prime indicazioni suggeriscono che i bambini tendono a consumare porzioni sempre maggiori, pari spesso a quelle di un adulto. E’ stato poi osservato che in età infantile l’immagine corporea associata dai genitori ad un buono stato di salute è diversa per i bambini e le bambine. “I genitori sembrano preferire una ‘maggiore rotondità’ per le femmine rispetto ai maschi: il problema è che queste bambine, una volta divenute ragazze, verranno spinte al raggiungimento di un’immagine corporea opposta, snella talora sino all’eccesso.

E’ questo uno degli esempi paradigmatici di come l’obesità infantile, e i disturbi dell’alimentazione in generale, si leghino al disagio che bambini e adolescenti vivono nel corso della delicata fase dell’accrescimento”, spiega Barba, illustrando quale esempio una indagine della rivista americana Jama sull’indice di massa corporea, cioè il rapporto tra peso e altezza (kg/mq), delle Miss America: partito negli anni ’50 con valori intorno a 24, decresce intorno al 20 alla metà e soprattutto alla fine degli anni ’60 (quando esplode il fenomeno Twiggy, la magrissima modella britannica), per crollare dagli anni ’70 su valori intorno e spesso inferiori a 18, che l’Organizzazione mondiale della sanità indica quale limite della malnutrizione.

Anche per questo è opportuna una prevenzione non limitata agli individui ad alto rischio, ma un’iniziativa che, come il progetto Arca, coinvolga scuola, famiglia e amministrazioni locali, per agire sul contesto sociale e consolidare una educazione alla salute ‘multilivello’ e pianificata sulle esigenze del territorio.