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Stranieri e lavoro

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Cassazione, sez. I penale, sentenza 25/10/2006 n. 3749

Fatto in esame

La Corte di cassazione si è pronunciata sulla responsabilità penale del datore di lavoro che abbia avuto alle sue dipendenze un cittadino extracomuinitario privo di permesso di soggiorno. In particolare ha precisato che “integra il reato di illegale assunzione al lavoro di stranieri (art. 22, comma 12, D. Lgsl. n. 286/1998) l’occupazione di lavoratori privi del permesso di soggiorno, anche se con il “patto di prova” previsto dall’art. 2096 c.c., in quanto la norma non distingue tra rapporti di lavoro stabili o soggetti a condizione”.

La legislazione

L’art. 18 della legge 30/07/2002 n. 189 che modifica l’art. 22 del D. Legs. n. 286 del 1998 al comma 12 stabilisce: “Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato”.
Già altre pronunce della Corte di cassazione avevano precisato che per “datore di lavoro” s’intende anche il semplice cittadino che assuma alle proprie dipendenze una singola persona per svolgere attività di collaborazione domestica o di “badante”.

Contrasto tra la giurisprudenza di merito e la giurisprudenza di legittimità

La Corte di Cassazione ha interpretato l’art. 22 del D.Legsl. n. 286 del 1998 in modo restrittivo e rigoroso cioè a dire il rilascio del permesso di soggiorno concreta un vero e proprio effetto costitutivo della legittimazione dello straniero al lavoro.
Tuttavia, alcune pronunce di merito sono in contrasto con l’indirizzo esplicitato dalla Corte di Cassazione. Il Tribunale di Genova con sentenza del 07/01/2004 ha ritenuto che “ Nel caso in cui il lavoratore extracomunitario abbia presentato domanda rivolta a ottenere permesso di soggiorno, sulla base della circolare del 25 novembre 1991 del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, secondo cui l’assunzione del lavoratore extracomunitario può avvenire dopo la presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno e prima del rilascio effettivo, va esclusa la sussistenza del reato di cui all’art. 22 comma 12, del D. Legs. 286 del 1998, quantomeno sotto il profilo psicologico del reato”
La decisione di cui sopra è improntata a ragionevolezza in quanto tiene conto:
– del tempo necessario per lo svolgimento del procedimento amministrativo per l’acquisizione del permesso di soggiorno;
– valorizza l’elemento psicologico dell’indagato cioè la reale conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione del dipendente. Se, dunque, il datore di lavoro si sia attivato in modo concreto e serio per verificare la circostanza e costatare se fosse comprovata la pendenza di un procedimento volto alla regolarizzazione del cittadino straniero. Qualora il datore di lavoro non fosse a conoscenza della sussistenza o meno di un procedimento amministrativo in corso o non fosse in grado di provare la pendenza della procedura di regolarizzazione, il Giudice potrebbe escludere la condizione di buona fede e condannare il datore di lavoro.

In sostanza, a parere di questo Giudice di merito, è ammissibile e non penalmente sanzionabile il comportamento del datore di lavoro che assume un extracomunitario di cui sia provata la effettiva condizione di attesa dell’emissione del provvedimento di regolarizzazione in Italia.

Articlolo scritto da: Avv. Laura Guidelli