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Manneschi su sanatoria giurisprudenziale

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AREZZO – L’altro ieri nelle Commissioni congiunte Attività produttive ed Assetto del territorio è stato approvato all’unanimità il regolamento per il rilascio del parere preventivo per le nuove attività produttive.
Un provvedimento fortemente voluto dalle categorie economiche per dare certezze a chi richiede di aprire una nuova attività, portato avanti dall’assessore Ducci, in accordo con i Presidenti delle due commissioni consiliari Bruni e Polli, e che è stato approvato con modifiche migliorative scaturite dal dibattito che ha coinvolto tutti i rappresentanti, sia della maggioranza sia della minoranza.
A questa buona notizia purtroppo se ne accompagna una non buona, ovvero il ritiro da parte del Sindaco della proposta di “sanatoria giurisprudenziale”.
Una proposta scaturita dall’esigenza di evitare una inutile demolizione per quei manufatti del Centro Ippico che, pur realizzati a suo tempo senza titolo edilizio, oggi sono conformi alle norme urbanistiche e consentono al Centro di proporre Arezzo nel mondo attraverso le prestigiose ricorrenti iniziative.
La vicenda del centro Ippico risale ai tempi della giunta Lucherini e non è possibile dimenticare le polemiche pubbliche che contrapponevano chi, come il sottoscritto, sosteneva la opportunità e legittimità dell’approvazione della variante (attesa la natura non speculativa dell’intervento, in quanto afferente all’interesse pubblico della città) e chi, come il consigliere Pietro Alberti, si batteva con tutte le forze per ostacolarla.
In seguito si seppe quali presumibili motivi muovevano l’Alberti.
Chi oggi si oppone alla sanatoria lo fa certo per ragioni di principio, come ha sostenuto a suo tempo e sostiene anche oggi Alfio Nicotra: “pur ritenendo il progetto positivo per la città di Arezzo, ritenevamo che lo stesso fosse inficiato dagli abusi edilizi fin lì riscontrati dalla polizia municipale e che l'approvazione della variante rischiava di sembrare una impropria sanatoria”.
È una motivazione fondata sulla cultura del sospetto e, all’evidenza, contraddittoria.
L’area su cui sorge il Centro Ippico era agricola e, all’esito di un piano attuativo, in parte destinata ad attrezzature per interesse collettivo (poi mi si dovrà spiegare perché in zona agricola non posso realizzare un Centro Ippico, penso che in molti paesi europei ci prenderebbero in giro per queste stranezze).
L’intervento originario (di minori dimensioni) era in parte regolarmente assentito e rispondeva (risponde) all’interesse pubblico della città ad ospitare una infrastruttura idonea a richiamare eventi internazionali, sviluppando un indotto significativo nel settore dell’accoglienza.
Altre città, anche più blasonate della nostra, farebbero a gara per accaparrarsi un investimento come quello realizzato dalla Signora Marzotto, essendo evidenti le ricadute e le opportunità, assolutamente prevalenti rispetto agli aspetti problematici, tutti facilmente risolvibili.
La circostanza che alcuni interventi siano stati realizzati senza titolo edilizio (più che altro box per cavalli, ma anche impianti sportivi, campi di gara e manufatti vari) non va sottaciuta, ed infatti è stato aperto un procedimento penale e sanzionatorio amministrativo, ma sarebbe sbagliato e fuorviante sostenere che l’abuso impedisce l’approvazione di una variante.
Quando si valuta una variante, in specie una variante la cui approvazione consente ad un intervento di interesse collettivo di spiegare appieno le sue potenzialità, non ci si deve far condizionare dall’esistenza di abusi. Lo si evince dalla normativa e lo dicono espressamente le pronunce dei giudici amministrativi: peraltro l’approvazione della variante e della conseguente sanatoria edilizia c.d. “giurisprudenziale” non estingue i reati edilizi (per la gioia dei forcaioli anche la signora Marzotto è incorsa nei rigori della legge), la sanatoria evita solo l’inutile demolizione (inutile poiché dopo aver demolito posso chiedere ed ottenere un titolo per realizzare di nuovo ciò che è stato demolito).
Si vuole dunque che il Centro Ippico demolisca quei residui manufatti che sono conformi alla variante approvata ma, all’epoca, non erano conformi agli strumenti urbanistici? Per poi farglieli ricostruire? A che pro?
Cari consiglieri, allorquando ci rendiamo conto che distruggere per ricostruire, oltre che un attentato al buon senso è anche un inutile dispendio di risorse materiali, se l’intervento, come lo stesso Nicotra riconosce, è utile per la città, allora abbiamo il dovere di fare quanto la legge ci consente al fine di impedire una inutile demolizione, in questo come in casi simili.
A meno che non facciamo come Ponzio Pilato, nume tutelare della politica italiana.