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‘Margarita e il Gallo’ al Signorelli di Cortona

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‘Margarita e il Gallo’ al Signorelli di Cortona

CORTONA – Margarita e il Gallo, in scena al Teatro Signorelli di Cortona martedì 4 dicembre, per mano di Ugo Chiti, con l'interpretazione di Maria Amelia Monti e Gianfelice Imparato, è ultimo lavoro del drammaturgo pavese Edoardo Erba considerato uno dei talenti più brillanti della sua generazione.
«Firmando la regia di questo spettacolo – racconta Chiti – sono andato in controtendenza dimostrando che esiste ancora un teatro vitale. Compiendo un'operazione di assoluta fedeltà, ho conservato la leggerezza originaria del testo, seguendo quell'andamento musicale che lo contraddistingue; senza distorcerne la forma, ho rispettato le regole e la trasparenza del gioco di Erba, entrando nel fitto intreccio di parole e di allusioni privilegiando il lavoro sugli attori, uniti da una forte intesa».
Ambientata nel '500, la vicenda prende il via quando il fiorentino Annibale Guenzi, ambisce a diventare tipografo di corte.
Tutto ha un prezzo e il Visconte Morello, potendo intercedere per lui, chiede, in cambio del favore, di poter giacere con la moglie Bianca. Ma la proposta, si fa più indecente quando si comprende che il nobile uomo ha una grande passione per la parte a tergo.
Le cose si complicano quando Bianca è costretta ad allontanarsi. Ecco che il suo posto viene preso dalla serva Margarita, una donzella estroversa e bizzarra, ingenua, ma non stupida che riesce, attraverso la sua intelligenza e i suoi sentimenti, a risolvere l'intrigo.
È la bravissima Maria Amelia Monti, moglie dell'autore, a rivestire il ruolo dell'incandescente Margarita, colei che fa trionfare l'amore a scapito della prepotenza del potere.
Il pubblico non deve lasciarsi influenzare dagli abiti di scena; si tratta di una commedia in costume, ma non per questo si tratta di uno spettacolo barboso; leggerezza e ironia trionfano a suon di risate.
Tuttavia non siamo di fronte a un lavoro banale, statico e nemmeno prevedibile. Alla fine della vicenda viene smentita la convinzione, diffusa nel Cinquecento, che le donne non avessero l'anima.
Senza cali di ritmo e con un crescendo esilarante che porta, in maniera classica, a sorridere nel primo atto per poi sganasciarsi nel secondo, senza mai puntare il dito contro qualsivoglia ipocrisia sociale, l’autore svela il nocciolo e lo fa fiorire con amore.
Pozioni, scambi di corpi, identità perdute, piaceri riscoperti, tutto corre nella direzione di un inaspettato matrimonio tra blasone e plebe, che interrompe il flusso liberatorio e quasi orgiastico che si era riversato sulla casa.
Tutto il cast si mette a servizio di personaggi ben caratterizzati, tirando dritto quando il pubblico gradisce e sorprendendo quando la platea si aspetta qualche cosa.