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Messa in commercio dei prodotti derivati da animali clonati

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FIRENZE – L'Assocarni, l'associazione italiana dei produttori della carne, ha ribadito la sua contrarietà alla messa in commercio dei prodotti derivati da animali clonati. Per l'Assocarni, il compito dell'industria italiana "è quello di venire incontro alle scelte ed alla volontà del consumatore".
E allora noi, come associazione di consumatori, chiediamo all'Assocarni di abbandonare questa posizione antiscientifica e contraria agli interessi di milioni di consumatori. Contrariamente ad altre biotecnologie nel settore alimentare, quali ad esempio gli Ogm, le preoccupazioni sulla clonazione appaiono assolutamente infondate e frutto più di superstizione che di cautela.
L'evidenza scientifica è infatti che le carni clonate sono "indistinguibili" da quelle non clonate, come del resto le carni di animali gemelli monozigoti – frutto della clonazione naturale- sono identiche a quelle degli altri animali. Non solo, ma i vantaggi per i consumatori sarebbero molti. Ad esempio si potrebbero clonare esemplari di particolare qualità, eliminando sprechi e aumentando la qualità dei loro prodotti. Questo porterebbe certamente ad un abbassamento dei prezzi, come è già avvenuto con l'introduzione delle vaccinazioni o della riproduzione assistita selettiva. Oppure, come hanno fatto pochi giorni fa negli Stati Uniti, si potrebbero creare mucche resistenti alla sindrome della "mucca pazza". Questo porterebbe una maggiore sicurezza alimentare ed eviterebbe le ricorrenti e costose crisi per questa o quella malattia.
Naturalmente l'Assocarni è libera di scegliere di rifiutare a priori nuove tecniche di produzione. Ci auguriamo solamente che questa posizione, fatta nel nome dei consumatori, non impedisca ai produttori italiani di andare di pari passo con i colleghi stranieri. Soprattutto ci auguriamo, qualora i produttori italiani continuassero a rifiutare il progresso scientifico, che non venga proibita l'importazione di carni clonate dall'estero. Questo sarebbe la dimostrazione che non sono gli interessi dei consumatori a stare a cuore, ma gli interessi di bottega dei produttori.