ROMA – Capire il comportamento dei vulcani decifrando i movimenti profondi del magma e tutte le complesse interazioni fisiche e chimiche di questo fluido con la litosfera.
E' questo l'obiettivo del nuovo programma internazionale di ricerca VOLUME, fantasioso acronimo di: 'Volcanoes: understanding subsurface mass movement'.
"Con Volume vogliamo imprimere un'accelerazione alle nostre conoscenze vulcanologiche, integrando dati sismici, gravimetrici, deformativi e geochimici, con lo scopo di costruire dei modelli che possano descrivere in maniera soddisfacente il comportamento dei sistemi vulcanici", spiega Gilberto Saccorotti, sismologo dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV, sede di Pisa) e responsabile nazionale del progetto che coinvolge decine di ricercatori dello stesso Ingv, in consorzio con altre università e enti stranieri (Francia, Spagna,Portogallo, Irlanda, Islanda, Nuova Zelanda).
Delle due grandi manifestazioni distruttive della Terra: terremoti e eruzioni vulcaniche, queste ultime sono ritenute relativamente più prevedibili dal momento che i vulcani, quasi sempre, fanno precedere la loro furia con diversi tipi di segnali premonitori: tremori, sciami sismici, rigonfiamenti dell'edificio vulcanico, apertura di nuove bocche, intensificazione delle emissioni gassose e variazioni della loro composizione chimica. Ma tutto questo ampio spettro di fenomeni cambia da vulcano a vulcano e, anche per lo stesso vulcano, cambia nel tempo poichè dipende dalle complesse interazioni fra i fluidi magmatici profondi che risalgono attraverso i condotti vulcanici e la natura degli strati di rocceattraversati. Di qui la necessità di compiere un salto di conoscenze, mettendo a frutto le esperienze dei vulcanologi e dei geofisici di varie parti del mondo. Ma sentiamo, nei particolari, dal dottor Saccorotti come si svilupperà il progetto.
Comincerete ad approfondire il comportamento di alcuni vulcani rappresentativi, fra i circa 500 attivi in tutto il pianeta?
Si, il primo problema che abbiamo dovuto affrontare è stato quello delle selezione delle aree vulcaniche di maggior interesse. Tuttavia, a fronte delle centinaia di vulcani attivi da te richiamati, solo poche decine sono dotati di reti di monitoraggio in grado di fornire dati utili allo svolgimento delle ricerche proposte.
La scelta è quindi ricaduta su 3 aree ben definite: l'Isola di Sao Miguel, nell'arcipelago delle Azzorre, con i suoi vulcani Fogo e Furnas. Poi, l'Islanda, con i vulcani Hekla e Katla. Infine, chiaramente, i nostri Vesuvio-Campi Flegrei ed Etna. E su questi 3 ultimi vulcani è particolarmente mirata l'attenzione del progetto. Grazie ai recenti sforzi dell'INGV, infatti,i nostri sistemi di sorveglianza vulcanica sono in alcuni casi fra i più avanzati del pianeta.
-Quali parametri fisici e chimici oggi vi sembrano più affidabili per prevedere un'eruzione?
Con l'avanzamento delle ricerche, ci stiamo accorgendo che, per la predizione dei fenomeni eruttivi, non esiste una combinazione di parametri osservabili universalmente valida.
Al momento, quindi, il nostro approccio prevede la raccolta del maggior numero possibile di informazioni che, in maniera rigorosamente quantitativa, vengono poi elaborate per ricavare indicazioni circa lo stato fisico e chimico dei fluidi presenti all'interno dell'edificio vulcanico. Comunque, stiamo guardando con
particolare interesse le misure fornite dagli strumenti di ultimissima generazione, quali ad esempio le deformazioni misurate dai dilatometri da pozzo installati nell'area Flegrea, o i dati composizionali delle emissioni gassose misurate in tempo reale sia alla Solfatara (Campi Flegrei) che all'Etna.
-Arriverete, alla fine, a modelli previsionali di un'eruzione che siano attendibili quanto, per esempio, le previsioni meteorologiche a breve termine ?
Sicuramente i tre anni di durata del progetto sono pochi per poter sperare di conseguire un obbiettivo così ambizioso. Inoltre, le nostre conoscenze circa i dettagli della struttura interna della terra sono ancora troppo scarse per poter modellizzare il trasporto sotterraneo di massa in modo robusto e ben vincolato.
Tuttavia, considerando la straordinaria qualità delle banche dati a nostra disposizione, e la variegata diversità delle competenze espressa dal team internazionale di ricercatori, sono confidente che -in un futuro molto prossimo- saremo in grado di ridurre in maniera significativa i margini di incertezza sulla previsione dell'attività vulcanica.
-Chi finanzia il progetto e quanto durerà?
Il progetto è interamente finanziato dall'Unione Europea, attraverso
il 6° programma quadro. La sua durata prevista è di tre anni,
con una conclusione attesa per l'Ottobre 2008.em