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Ben Harper, un concerto indimenticabile

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Ben Harper, un concerto indimenticabile

AREZZO – Il Festival di Arezzo entra nella sua fase finale, attesa come ricca di soddisfazioni. Le aspettative non sono state deluse perchè la buona musica, quella che lascia il segno, quella che non può far altro che lasciarsi ascoltare, ha acceso la manifestazione di forti emozioni a partire dal tardo pomeriggio di ieri presso il Prato.

Già dalle 16.00, fra Piazza della Libertà e il Prato, ha cominciato a radunarsi una folla di giovani e meno giovani in fervente attesa per le esibizioni previste sul main stage. Attesa resa ben lieta dalle leccornie eno-gastronomiche messe a disposizione da ristoranti e stands predisposti per l'occasione.

L'assaggio musicale arriva invece poco dopo le 20.00, quando sul palco principale si presentano due signori che attaccano a suonare, l'uno sulla destra alla batteria, l'altro a sinistra dietro un set composto da didgeridoos (strumenti tradizionali aborigeni consistenti in lunghi tubi di legno suonati a fiato), vari djembe, tamburi, piatti, charleston e chi più ne ha più ne metta. Sono Xavier Rudd e il suo batterista. Xavier è un australiano grande amico di Ben Harper, un surfista col pallino della musica o un musicista col pallino del surf, che è in grado di suonare di tutto.
In un'ora di puro divertimento il duo incanta la platea con suoni e ritmi che spaziano dalla dance al funk, dal pop al rock passando per il blues e ritmi tribali africani, una miscela letteralmente esplosiva che a tratti pare provenire da una base registrata: in realtà è tutto completamente live, tutto opera di Rudd che suona chitarra, basso, armonica, djembe, didgeridoos, batteria, percussioni indifferentemente. Un mago dello strumento, il cui unico interesse è esprimersi attraverso la musica.

Rudd chiude la propria esibizione in uno scroscio di applausi. Neanche sessanta minuti, volati via fra profumi di patate fritte, polli arrosto, hamburger e la ricerca di un buon posto a sedere, quando sul main stage si presenta un vero e proprio gigante con un basso a tracolla.
E' Juan Nelson, bassista storico di Ben Harper, che introduce la band al ritmo di reggae.
Sin dalle prime note è facile accorgersi che questi signori, criminali sì ma innocenti, calcano ormai da anni palchi d'ogni sorta. Stacchi perfetti al millesimo, intesa al volo, interplay coeso e ricco rende questo ensamble musicale una cosa sola, come se tutti ragionassero con una sola mente. Ciò che ne esce è groove allo stato puro costituito dall'eccellenza di ognuno.

Grazie a questa band, subito nasce un'intesa col pubblico che costituirà il filo conduttore del concerto. Lo stesso Harper lascia cantare alla platea tutta la prima strofa di “Diamonds on the inside”, stupendosi dell'esecuzione perfetta “incredibile, incredibile!” esclama al microfono.

Rock, country, blues si fondono a melodie tradizionali in uno spettacolo che attraversa tutta la carriera del musicista statunitense. Con brani quali "Excuse me Mr.”, “Fight outta You”, “In the colors”, “Like a King” scivola via la prima parte al termine della quale Ben resta solo sul palco.
E' il momento più intimo del concerto, un dialogo a due fra l'artista e il suo pubblico attraverso il solo arpeggio classico della chitarra acustica, un arpeggio lento e armonioso che sfocia nel valzer “Lifeline”, titolo dell'ultimo album, brano eseguito con estrema dolcezza, cantato quasi sotto voce.

Prima del gran finale c'è ancora energia da spendere ed è con la spettacolare “Burn one Down” che la platea si scatena nuovamente. Tutto il brano è attraversato dall'assolo scatenato di djembe del percussionista Leon Mobley.
Dai ritmi tribali si passa direttamente al volo di “Better Way”, un pezzo corale dall'armonia completamente dilatata, con un sottofondo di chitarra distorta magistralmente eseguito da Michael Ward, un brano che ricorda all'uomo il diritto naturale di sperare e combattere per i propri sogni.

Su queste note entra l'ultimo sciame di folla, in tempo per le presentazioni ed i ringraziamenti.
Harper ringrazia singolarmente ciascun membro della band (Jason Yates – organo Hammond, Michael Ward – chitarre, Juan Nelson – basso, Leon Mobley – percussioni, Oliver Charles – batteria), quindi ringrazia caldamente l'amico Xavier Rudd per l'apertura del concerto.
Un ringraziamento particolare al pubblico “per aver condiviso con noi una notte come questa” e al Play Festival “per averci ospitato in questa splendida terra!”.

“Io sono ben Harper e questi sono gli Innocent Criminals!” con questa affermazione, fiera e spavalda, comincia l'ultimo brano del concerto “With my own two hands”, un finale magnifico che conclude degnamente uno show da quasi due ore e mezza. Harper si esibisce in una danza sfrenata che attraversa tutto il palco mentre saluta e tira baci alla platea, quindi l'ultima esplosione della musica, giunta ormai al culmine.
Abbraccio generale di rito con tutta la band schierata sul palco, quindi un saluto speciale per il pubblico, un saluto inaspettato e suggestivo. Fra gli applausi scroscianti e interminabili, Harper si avvicina al microfono e con voce soave canta improvvisando queste parole “Thank you so much for been with us tonight. Thank you for you give us such nights like this” (“Grazie infinite per essere stati con noi questa sera. Grazie perchè ci regalate notti come questa”).
Un canto, l'ultimo, oltremodo appagante che lascia tutti col cuore in pace e un bel sorriso sulle labbra.
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Articlolo scritto da: Sandro Farinelli