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“Da Chimera a chi m’era” una mostra di Giulio Galgani

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AREZZO – Dal 9 luglio al 30 agosto, nella corte interna e nel loggiato di Palazzo Comunale, Giulio Galgani espone le sue sculture in una mostra, organizzata dalla Presidenza del Consiglio Comunale, che fin dal titolo tradisce ironia filologica e retaggio atavico: “Da Chimera a chi m’era”.
“Ho incontrato Giulio Galgani – ha dichiarato il presidente Giuseppe Caroti – ‘per le scale’ della casa di Filippo Nibbi dove aveva esposto la sua Chimera e da lì è nata l’idea di organizzare una installazione e una mostra che rappresentano sia una nuova occasione per il pubblico di visitare Palazzo Comunale sia un modo per rendere omaggio a questo poliedrico e versatile artista della terra aretina. L’installazione è dedicata alla nostra tradizione contadina: quattro rotoballe che rappresentano gli elementi della natura, terra, mare, cielo e sole. In ciascuna rotoballa è conficcato un uomo-spillone, metafora di come la razza umana sia oggi capace di incidere la natura e sul territorio mentre dovrebbe invece ricordare e rispettare i suoi elementi fondamentali”.
“Le chimere fanno da sfondo alle rotoballe – ha precisato Giulio Galgani – due modi di tradurre la tradizione storica di questa terra. La mostra è distribuita su due piani, la corte interna e il loggiato: sotto abbiamo la paglia dei campi della Valdichiana, alla quale voglio dedicare questa mostra. Poi ci sono le chimere, la prima ferita, chiusa in una gabbia di filo spinato, oltraggiata, la seconda soffocata dai ratti, ridotta a micio addomesticato. In entrambi i casi è scomparso il suo carattere mitologico. Ecco a cosa abbiamo ridotto la nostra tradizione, non siamo più capaci di coltivare nulla, dal mito alla terra”.
“Ogni rotolone una poesia – ha concluso Filippo Nibbi – dedicata a Ezra Pound, un ammiratore della classicità romana, di Classe e di Ostia Antica, quattro ‘cantos pounderosi’ rotolati da Giulio Galgani e utili alle mie ‘filippiche’. Da ‘Chimera a chi m’era’ noi vogliamo dire che dalla forza distruttiva della natura siamo passati alla forza distruttiva dell’uomo: basta guardare Arezzo, non c’è più niente, non s’inventa più niente, al posto dei campi di grano c’è ora il deserto”.