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Joan Baez apre Play Art Festival 2008

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Joan Baez apre Play Art Festival 2008

AREZZO – In una serata minacciosa di pioggia è cominciato il Play Art festival 2008. Nella suggestiva cornice di Piazza della Libertà, l'ormai collaudata organizzazione del Festival ha voluto sul palco una piccola signora dalla lunghissima storia. Si chiama Joan Chandos Baez e fa musica da cinquant'anni.

Dallo show esplosivo di Peter Gabriel che ha inaugurato il Festival dello scorso anno, nella seconda edizione si è preferito passare ad un taglio differente, aprendo con un momento di riflessione portato attraverso un'esibizione essenziale, live sotto tutti gli aspetti. Uno spettacolo semplice fatto di parole e storie accompagnate dalle note di pochi strumenti.
Questo è difatti il cuore della musica country – western proposta da Joan Baez e dalla band che l'accompagna: Erik Della Penna (chitarre e voce), Dean Sharenow (batteria, percussioni e voce), Michael Duclos (basso).

Come annunciato dall'artista, il concerto attraversa tutta la sua carriera coprendo un arco temporale di circa cinquant'anni d'attività non solo musicale; difatti per Joan Baez la musica è divenuta uno strumento di denuncia e protesta contro i mali della società, contro la guerra e i soprusi, contro le ingiustizie di ogni genere ed ogni tempo. Non uno strumento meramente politico dunque, ma un modo per far sentire a tutti la propria voce densa delle proprie idee, uno stile di vita fatto di convinzioni scritte fra parole e note. Convinzioni così rocciose da perpetuarsi anche nella vita quotidiana: Joan ad esempio si rifiuta di viaggiare se non con autobus e treni.

Accompagnata dal suono avvolgente delle chitarre acustiche, la “Regina del Folk” degli anni Sessanta ricorda i fatti e i personaggi più importanti per la sua vita e per la sua carriera musicale, legandoli indissolubilmente ad una canzone.
Riflette e fa riflettere sulla strumentalizzazione delle ideologie con i due brani “God is God”, dall'album “The Day After Tomorrow” in uscita a settembre 2008, e “With God on Our Side” di Bob Dylan; ricorda i giorni delle barricate in “Christmas in Washington” di Steve Earle e ripete l'augurio lasciato da John Lennon in “Immagine”, cantandola e facendola cantare.
Trovano spazio anche diverse citazioni per Johnny Cash, uno dei padri del folk americano, per Sam Cooke con “Wonderful World” e Gianni Morandi in “Un mondo d'amore” (pezzo che, a detta della cantante, le ricorda quanti spaghetti ha mangiato la prima volta che è venuta in Italia negli anni Settanta) e “C'era un ragazzo […]”.

Un pubblico numeroso ha seguito con attenzione e partecipazione l'intero concerto, chiedendo ed ottenendo fra i bis finali “Blowing in the Wind” di Bob Dylan, accolta con un'ovazione di soddisfazione.

Accanto ai ricordi, trova spazio un netto giudizio sulla situazione attuale: “Mi scuso per quello che il mio governo sta facendo al mondo”, dice la cantante prima di intonare sola sul palco il bellissimo canto popolare statunitense “Swing Low, Sweet Chariot”.

Articlolo scritto da: Sandro Farinelli