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Comune di Arezzo: la nuova toponomastica

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AREZZO – Con delibera odierna, la Giunta ha approvato nuove intitolazioni di strade e aree di circolazione e ridefinito aree precedentemente denominate. Tra le prime: Piazza Amintore Fanfani, praticamente il piazzale interno alla ex caserma Cadorna; Galleria Benedetto Cairoli, una nuova area di circolazione che inizia in Via Garibaldi e collega Via Crispi e Via Margaritone; Via Giuseppe Impastato, con inizio in Via Lazzeri e termine, a lavori ultimati, in Via Garbasso; Parco Giorgio Ambrosoli, limitrofo al nuovo palazzo di Giustizia, una zona sistemata a verde nel comparto ex Garbasso; Camminata Giovanni Maltese, che inizia in destra di Via Parini e termina in Via Emanuele Petri; Largo Ottaviano Pieraccini, che parte in sinistra dal civico 89 di Via Pisacane.
Per quanto riguarda la revisione di precedenti intitolazioni, esse hanno riguardato l’area già denominata Via Amintore Fanfani, tra la rotatoria di Viale Don Minzoni e la Maestà di Giannino, che diventa Viale Caduti di Cefalonia e Corfù; e un tratto di Via della Magnanina, tra Via Andrea della Robbia e la Superstrada Due Mari, che diventa Via Artemisia Gentileschi.
Di seguito i profili dei personaggi che vanno così ad arricchire la toponomastica della nostra città.

AMINTORE FANFANI
(Pieve Santo Stefano, 6 febbraio 1908 – Roma, 20 novembre 1999) storico dell’economia e politico tra i più importanti dell’Italia del dopoguerra legato a vicende emblematiche della storia repubblicana, dai primi governi di centrosinistra negli anni sessanta al referendum sul divorzio del 1974, tanto da meritare l’appellativo di “cavallo di razza”. Già eletto all’Assemblea Costituente, ha ricoperto “in crescendo” incarichi governativi: ministro del Lavoro nel quarto e quinto governo De Gasperi, dell’Agricoltura nel settimo governo De Gasperi, degli Interni nell’ottavo governo De Gasperi, quando fu il promotore del cosiddetto “Piano Fanfani” che prevedeva la costruzione di oltre 300.000 abitazioni popolari, fino a ricoprire ben 5 volte la carica di Presidente del Consiglio legando il suo nome al primo esecutivo sostenuto dai socialisti, il governo della scuola media unica e dell’istruzione obbligatoria innalzata a 13 anni con libri di testo gratuiti per i non abbienti, della nazionalizzazione dell’energia elettrica e dell’avvio delle grandi opere infrastrutturali come la realizzazione dell’Autostrada del sole Milano-Napoli passante da Arezzo. Ministro degli Esteri nel secondo e terzo governo Moro è stato, ancora per 5 volte, presidente del Senato e senatore a vita dal 1972. Due volte segretario della Democrazia Cristiana ha visto riconosciuto il suo ruolo anche a livello internazionale venendo eletto Presidente dell’Assemblea dell’ONU nel biennio 1965-1966.

BENEDETTO CAIROLI
(Pavia, 28 gennaio 1825 – Napoli, 8 agosto 1889) garibaldino, rifugiato politico e cospiratore anti-austriaco, deputato, Presidente del Consiglio dei Ministri nel Regno d’Italia dal 24 marzo 1878 al 19 dicembre 1878 e dal 14 luglio 1879 al 29 maggio 1881. Il prestigio che Benedetto Cairoli godette fu sempre immenso in virtù dei meriti familiari: quattro fratelli caduti nelle guerre risorgimentali, il padre morto in esilio, l’esemplare comportamento della madre che rifiutò onorificenze di qualsiasi tipo. Non da meno fu il suo carattere che rifletteva generosa idealità democratica. Cacciatore delle Alpi, tra i “Mille” di Garibaldi, ferito due volte a Calatafimi e a Palermo nel 1860, nel 1867 combatté a Mentana. Nel 1870 partecipò ai negoziati informali con Bismarck nel corso dei quali il cancelliere tedesco promise di appoggiare l’annessione di Roma da parte dell’Italia, a patto che il Partito Democratico si fosse adoperato per impedire un’alleanza fra il re Vittorio Emanuele II e Napoleone III. La sua “sfortuna” politica, quando ricoprì il massimo incarico di governo, dipese sempre da fattori di politica estera: il suo primo governo cadde a seguito del Congresso di Berlino da cui l’Italia se ne tornò con le “mani nette”, ovvero senza alcun riconoscimento territoriale specie sul Trentino, mentre le critiche di stampo “irredentistico”, e nazionalistico, decretarono la fine del suo secondo mandato dopo la colonizzazione francese della Tunisia a cui sembrava aspirare anche l’Italia.

GIUSEPPE IMPASTATO
(Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978), politico e conduttore radiofonico, famoso per le denunce delle attività della mafia in Sicilia che gli costarono la vita. Venne infatti assassinato nella notte tra 8 e 9 maggio 1978, un’uccisione che passò la mattina seguente quasi inosservata poiché proprio in quelle ore veniva trovato il corpo del presidente della DC Aldo Moro. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo a eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio Comunale. La sua vicenda è stata tradotta in pellicola grazie al film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana. Cento erano i passi che occorreva fare, nella piccola Cinisi, per colmare la distanza tra la casa degli Impastato e quella del boss mafioso Tano Badalamenti, oggetto dei più feroci strali radiofonici di Peppino che è interpretato da Luigi Lo Cascio.

GIORGIO AMBROSOLI
(Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) avvocato, esperto in liquidazioni coatte amministrative. Fu assassinato l’11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività aveva ricevuto incarico di indagare. Erano anni di trame e in un clima di tensione e di pressioni, anche politiche, molto forti, Ambrosoli concluse la sua inchiesta. Avrebbe dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale il giorno dopo il suo assassinio. Nessuna autorità pubblica presenziò ai funerali, a eccezione della Banca d’Italia. Il 18 marzo 1986 a Milano, Michele Sindona e Roberto Venetucci, un trafficante d’armi che aveva messo in contatto Sindona col killer, furono condannati all’ergastolo per l’uccisione. Il primo omaggio alla figura di Giorgio Ambrosoli è stato il libro di Corrado Stajano, “Un eroe borghese” da cui è stato tratto nel 1995 il film omonimo di Michele Placido. Nel 2009 il figlio Umberto ha pubblicato “Qualunque cosa succeda”, ricostruzione della vicenda sulla base di ricordi personali, familiari, di amici e collaboratori e attraverso le agende del padre, le carte processuali e alcuni filmati dell’archivio RAI.

GIOVANNI MALTESE
(Palermo, 28 novembre 1895 – Cefalonia, 22 settembre 1943) ufficiale tenente colonnello, medaglia d’oro al valor militare alla memoria, all’annuncio dell’armistizio era ricoverato in un ospedale da campo per una grave infermità. Lasciò subito il luogo di cura, per riassumere il comando del suo battaglione impegnato contro i tedeschi a Cefalonia. Catturato dopo giorni di scontri, fu passato per le armi, un’esecuzione sommaria affrontata con la fierezza di chi si sentiva dalla parte della democrazia e della libertà. Nel 1976, il Presidente della Repubblica Giovanni Leone ha decretato alla memoria di Maltese la massima ricompensa al valor militare.

OTTAVIANO PIERACCINI
(Macerata, 15 maggio 1895 – Mauthausen, 28 marzo 1945) è legato ad Arezzo “per via paterna” visto che suo padre Arnaldo, socialista, fu direttore del manicomio. Dedito agli studi giuridici agli albori del fascismo, quando si trasferì a Milano per esercitarvi la professione di avvocato, la sua intransigenza morale ne fece un naturale avversario della dittatura. Nel 1942, proprio nel capoluogo lombardo, fu tra i promotori delle riunioni clandestine che diedero luogo alla fondazione del Movimento di Unità Proletaria. Il primo marzo 1944 Pieraccini fu catturato, tradotto nel carcere di San Vittore e da qui a Fossoli, a Bolzano e infine in Germania, nel lager di Mauthausen, dove giunse il 7 agosto. Ottaviano, per quanto gracile di costituzione, venne impiegato in una cava di pietra a trasportare massi. Dopo una prima malattia di polmonite scampata grazie all’assistenza dei compagni di prigionia, un duro lavoro in officina lo portò a una ricaduta che si rivelò fatale.

CADUTI DI CEFALONIA E CORFÙ
Dopo l’8 settembre 1943 e l’armistizio di Badoglio con britannici, sovietici e statunitensi, le prime reazioni da parte della Divisione Acqui furono di grande stupore ma anche di gioia; gioia che si trasmutò in angoscia quando, nella notte tra 8 e 9 settembre un radiogramma del generale Carlo Vecchierelli, comandante generale delle truppe in territorio greco, affermava che i rapporti tra tedeschi e italiani dal quel momento cessavano di essere di alleanza e che l’ex-alleato era ora da considerarsi come nemico. Il 10 settembre i tedeschi presentarono l’ultimatum alle truppe italiane, imponendo loro la consegna delle armi nella piazza centrale di Argostoli davanti all’intera popolazione, cosa che significava una totale umiliazione. La Divisione Acqui si rifiutò categoricamente. Cominciò così quello che è passato alla storia come “inferno di Cefalonia”, con i tedeschi che fino al 22 settembre decimarono la divisione sotto il fuoco ininterrotto degli Stukas e dei bombardamenti. Morirono secondo alcune stime più di 9.000 italiani molti dei quali, fatti prigionieri, vennero fucilati per ordine di Hitler in persona. Molti morirono anche nei rastrellamenti dei giorni successivi. Compiuto il crimine, i tedeschi, a eccezione di alcune salme lasciate insepolte o gettate in cisterne, bruciarono o gettarono in mare i morti. Dei 163 superstiti alcuni furono deportati in Germania o in Russia da dove non fecero ritorno.

ARTEMISIA GENTILESCHI
(Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 1653), pittrice italiana di scuola caravaggesca, riprese dal padre Orazio il limpido rigore del disegno, innestandovi una forte accentuazione drammatica, ripresa dalle opere del Caravaggio, caricata di effetti teatrali. Dagli esordi romani al periodo fiorentino, da Venezia a Napoli fino a una parentesi in Inghilterra, l’interesse per la sua figura artistica, rimasto debole nonostante la lettura datane da Roberto Longhi, ebbe un forte impulso in chiave femminista. Nella sua vita è rimasto infatti famoso lo stupro da parte del pittore Agostino Tassi. Il padre Orazio Gentileschi denunciò il Tassi che alla violenza non aveva potuto dare seguito con un matrimonio riparatore perché già sposato. Gli atti del processo dinanzi all’Inquisizione, conclusosi con una lieve condanna del Tassi, hanno sempre avuto grande effetto perché Artemisia Gentileschi accettò di deporre le accuse sotto tortura. La tela che raffigura “Giuditta che decapita Oloferne” del 1612-13, conservata al Museo Capodimonte di Napoli, impressionante per la violenza della scena che raffigura, è stata interpretata in chiave psicologica e psicanalitica, come desiderio di rivalsa rispetto alla violenza subita. La prima scrittrice che decise di costruire un romanzo attorno alla figura della donna, fu Anna Banti, la moglie proprio di Roberto Longhi, mentre la critica più recente ha inteso dare una lettura meno riduttiva della carriera di Artemisia collocandola nel contesto dei diversi ambienti artistici che la pittrice frequentò.