Home Nazionale I tibetani tornano in piazza, arrestati 100 monaci

I tibetani tornano in piazza, arrestati 100 monaci

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PECHINO – Alla vigilia del 50mo anniversario della fallita rivolta contro la Cina e del primo delle rivolte represse nel sangue da Pechino, i tibetani tornano in piazza. Proteste si sono registrate nella provincia di Qinghai. Durante alcuni scontri, bottiglie molotov sono state lanciate contro un'auto della polizia e un mezzo dei vigili del fuoco, senza causare vittime.

Sono stati rilasciati da poco i due giornalisti italiani fermati al confine con il Tibet dalla polizia cinese. Lo ha detto uno dei fermati, il corrispondente di Sky Tg24 Gabriele Barbati raggiunto telefonicamente dall'ADNKRONOS. Barbati ha ribadito che lui e il collega non avevano violato alcuna legge cinese: "All'inizio hanno cercato di spaventarci – ha raccontato il giornalista – ma la nostra preoccupazione era soprattutto per il nostro autista. Ai locali la Polizia riserva sempre un trattamento 'diverso' rispetto agli stranieri. Per fortuna alla fine hanno rilasciato anche lui".

Intanto la polizia locale ha arrestato 109 monaci per sottoporli a 'rieducazione politica'. Lo scrive il "Times" di Londra, sottolineando come il provvedimento preso nei confronti dei monaci del monastero di Qinghai, nella Cina occidentale, rientri nella serie di misure straordinarie decise dalle autorità di Pechino per evitare il ripetersi di proteste come quelle dello scorso anno che, secondo fonti tibetane, costarono la vita a quasi 200 persone.

Tra questi provvedimenti c'è il blocco di ogni via di accesso a due contee della provincia del Sichuan, teatro nel marzo del 2008 di violente proteste, mentre sono già in tilt da ore i telefoni cellulari e Internet. E da domani lo saranno anche a Lhasa, capoluogo del Tibet, riferisce il giornale, ricordando che lo scorso anno la popolazione locale ricorse agli sms per organizzare le manifestazioni contro il governo cinese.

Da parte sua, il presidente cinese, Hu Jintao, ha esortato i leader della provincia a costruire una "grande muraglia" contro il separatismo. "Dobbiamo costruire una solida Grande Muraglia contro il separatismo e per proteggere l'unità della madrepatria, far avanzare il Tibet da una stabilità elementare a un ordine duraturo e alla tranquillità'', ha detto Hu Jintao. Parlando davanti ai delegati tibetani dell'Assemblea nazionale del popolo, il presidente cinese ha anche affermato: "Dobbiamo affrontare i grandi problemi dello sviluppo e assicurare la stabilità sociale del Tibet e la sicurezza nazionale".

Le forze armate cinesi hanno anche rafforzato il controllo del confine esterno della regione autonoma del Tibet in vista di "previste attività di sabotaggio" da parte dei sostenitori del Dalai Lama, leader spirituale dei tibetani.

Un rapporto dell'International Campaign for Tibet (Ict) denuncia che la repressione cinese in Tibet ha raggiunto i livelli di 30 anni fa, durante gli eccessi della politica maoista della Rivoluzione Culturale. Il rapporto comprende una lista di 600 prigionieri politici, arrestati nel corso dell'ultimo anno dopo le proteste tibetane del marzo 2008. Il documento cita oltre 130 pacifiche proteste condotte in Tibet nel corso dell'ultimo anno e denuncia l'arresto di centinaia di monaci dei grandi monasteri di Sera, Drepung e Ganden, chiusi dalle autorità.

Sono inoltre circa 1.200 i tibetani scomparsi nel corso di quest'anno. Sin da febbraio, il governo cinese ha adottato un atteggiamento sempre più duro verso il dissenso "esortando i funzionari, le forze di sicurezza e il pubblico a schiacciare ogni segnale di sostegno al Dalai Lama". Intanto, dopo che è stata vietata un'importante cerimonia di preghiera nel Sichuan, le forze di sicurezza hanno sparato il 26 febbraio ad un monaco che si era dato fuoco per protesta, e il primo marzo un centinaio di monaci ha protestato contro il divieto di pregare nel loro monastero.