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Matt Damon gran bugiardo per Soderbergh

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VENEZIA – "Saper dire le bugie è una cosa che richiede davvero troppa energia: ci si smentisce subito, infatti, se non si è abituati". Così Matt Damon, accolto con entusiasmo in conferenza stampa, parla della sua interpretazione in 'The Informant!', questa sera Fuori Concorso alla Mostra e dal 18 settembre in sala distribuito da Warner Bros., ennesima prova al servizio di Steven Soderbergh.

"Ha ragione Matt – dice il regista – mentire è un esercizio davvero dispendioso, per questo continuo ad essere magro… Ma allo stesso tempo, credo che possa essere considerata anche una cosa salutare: ci uccideremmo tutti, infatti, se dicessimo solo la verità, se camminando per strada dicessimo ogni volta quello che realmente pensiamo. Chi sostiene che le bugie non fanno parte della natura umana, evidentemente non conosce gli esseri umani".

Di nuovo insieme dopo i vari 'Ocean's' e la piccolissima parte in 'Che – Guerriglia', Soderbergh aveva già pensato a Damon per il ruolo del bipolare Mark Whitacre nel 2001, anno in cui la Section Eight (la casa di produzione fondata insieme a Clooney, poi rimasta nei credits del film anche se la società era stata chiusa nel 2006) aveva acquisito i diritti del libro di Kurt Eichenwald, basato sulla vicenda di un biochimico che, nel 1992, iniziò, bugia dopo bugia, a collaborare con l'FBI per smascherare gli accordi illeciti sul controllo dei prezzi da parte della multinazionale per cui lavorava. "Appena finito di leggere il libro – racconta il regista – ho pensato a Matt perché incarnava come lo stesso Whitacre quell'atteggiamento ottimista, da vero americano, simpatico e di compagnia. Peccato però che all'epoca era ancora troppo giovane per la parte, poi altri vari problemi hanno impedito la partenza della produzione".

Trenta giorni di riprese, sette anni per imparare la parte alla perfezione: "Abbiamo avuto tantissimo tempo per confrontarci – racconta Matt Damon – e, soprattutto, la fortuna di avere a che fare con uno script eccellente (di Scott Z. Burns, ndr). Sul set, poi, come al solito lavorare con Soderbergh ti permette di affrontare il ruolo agendo su livelli unici: credo che solo Clint Eastwood sia in grado, come lui, di gestire in questo modo le sfaccettature dei personaggi". Tornato alla forma abituale dopo la trasformazione richiesta per il film ("ingrassare è stato facilissimo – dice ancora l'attore – forse la cosa migliore che mi sia capitata negli ultimi anni di lavoro…"), Damon diventa per Soderbergh lo "strumento" per raccontare una "storia soggettiva, un'allucinazione venata di comicità". "Di solito incontro prima della lavorazione i personaggi reali che danno lo spunto al film, ma questa volta non l'ho fatto – conclude il regista – proprio per la natura dell'operazione che andavamo ad affrontare".

Articlolo scritto da: Adnkronos/Cinematografo.it