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Polemica sulla morte di Diana Blefari

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ROMA – Sulla morte di Diana Blefari Melazzi, l'ex br che si è impiccata nella sua cella di Rebibbia nella serata di sabato scorso pesano una serie di omissioni che non hanno fatto valutare nella giusta misura le condizioni patologiche mentali della donna. Omissioni che neppure hanno consentito di adottare quelle cautele che in ultima analisi avrebbero potuto impedire una così tragica fine. E' quanto nella sostanza è stato affermato oggi nella conferenza stampa fatta dagli avvocati Valerio Spigarelli e Caterina Calia, difensori della Blefari e dallo psichiatra Antonio Coppotelli che come consulente di parte ha avuto modo di studiare la personalità dell'imputata.

Spigarelli ha ricordato che la richiesta della difesa la Blefari è stata sottoposta a diverse perizie che però non hanno consentito di avere un responso favorevole all'imputata forse perché è stato ignorato che c'era in gioco la tutela della salute della donna. Secondo il penalista non si è avuta la certezza che fosse stato fatto tutto il possibile per impedire che si giungesse a questa tragedia.

Il consulente di parte Antonio Coppotelli ha ricordato che anche in altri medici era sorta la convinzione dell'esistenza nell'imputata di una patologia psichiatrica che tuttavia non si appalesava nei comportamenti tenuti dalla Blefari. Questa patologia avrebbe potuto essere evidente attraverso un'indagine accurata sul comportamento della donna e l'esito finale sarebbe stato quello di rivelare che ''oltre a non poter essere presente al processo, la Blefari era un soggetto a rischio di suicidio''.

Perciò secondo il medico bisognava mettere in atto tutte quelle prevenzioni necessarie nonostante il rifiuto dimostrato in ogni occasione dall'imputata per impedire che si giungesse a questa tragica fine. Sempre secondo il medico erano necessari ''interventi coattivi'' che avrebbero cambiato il senso delle cose e la Blefari sarebbe stata messa in condizione di non nuocere a se stessa.

Anche l'altro difensore Caterina Calia si è soffermata sulle omissioni dal punto di vista medico che non hanno consentito di valutare pienamente la necessità di sottoporre a cure drastiche l'imputata. Ha tra l'altro ricordato che più volte nel 2006 era stata presentata la richiesta di ricovero della Blefari in una casa di cura privata a spese della famiglia per fornire alla donna le cure di cui aveva bisogno, nonostante lei stessa si ostinasse a rifiutarle.

Il difensore ricordando che i periti d'ufficio hanno valutato l'imputata ''come brigatista e non come ammalata necessaria di cure'' ha sottolineato che la stessa Corte d'Assise di Bologna nel 2006 durante il giudizio per l'uccisione di Marco Biagi pur riconoscendo ''la gravità della situazione prospettata dal difensore e dai sanitari negò il ricovero perché 'non si possono ignorare le esigenze cautelari assolutamente eccezionali che hanno imposto e tutt'ora impongono la sottoposizione della detenuta ad uno stretto controllo'''.

Altre critiche sono state rivolte ai metodi troppo rapidi di controllo adottati per valutare le effettive condizioni mentali della detenuta. In sostanza secondo il difensore i medici si sono accontentati, prendendo per buone le affermazioni della Blefari senza approfondire il problema.

Durante la conferenza stampa è stato anche reso noto l'appello fatto da Alessandra Blefari Melazzi, sorella di Diana: ''Chiediamo lo sforzo di tutte le istituzioni del Paese affinché facciano quanto in loro potere per far luce su tutte le responsabilità che hanno reso possibile questa tragedia''.

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha spiegato oggi nel corso del programma di Maurizio Belpietro 'La Telefonata' su Canale 5, che la Blefari "era in carcere perché, in seguito alla documentazione presentata dai suoi legali, chi era preposto a decidere ha ritenuto che non fosse incompatibile la detenzione in carcere con il suo stato psicofisico".

"Come tutti sanno – ha aggiunto – non è il ministro che decide chi deve stare in carcere e chi non deve stare in carcere. E' una decisione assunta dalla magistratura. Posso dire – ha proseguito – da responsabile del sistema carcerario" che nella cella dove si trovava la donna "le condizioni ambientali della detenzione non erano connotate da sofraffollamento o condizioni poco dignitose. Ma nessuna ombra deve restare su una vicenda così delicata – ha concluso Alfano – e quindi ho disposto un'inchiesta amministrativa raccomandando il massimo della celerità possibile".

Intanto, sui rapporti della Blefari con l'ex fidanzato Massimo Papini, uno degli ultimi presunti brigatisti rossi finiti in carcere, è intervenuto l'avvocato Francesco Romeo precisando che le notizie relative alla presunta attività di collaborazione della ex br sono ''un'ulteriore, oscena strumentalizzazione della tragica morte della signora Blefari '' che non hanno ''alcuna corrispondenza nella realtà''. ''L'unica colpa di Massimo Papini – continua – è stata quella di essere rimasto ostinatamente accanto ad una persona che soffriva ed alla quale era legato da un affetto profondo''. Negli atti del procedimento contro Papini a Roma e a Bologna esistono intercettazioni ambientali disposte dagli investigatori e una delle frasi intercettate in un colloquio tra Papini e la Blefari, quest'ultima avrebbe detto ''aiutami a morire in modo indolore''.

Articlolo scritto da: Adnkronos/Ign