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Scienziato italiano scopre il segreto dell’aviaria

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MILANO – L'intuizione l'ha avuta uno scienziato italiano, Mauro Delogu, mentre osservava le anatre selvatiche planare sull'acqua della laguna di Orbetello, sul litorale toscano: il segreto della diffusione dell'aviaria è nelle piume, in grado di ospitare maxi colonie del virus killer. E' la conclusione a cui giunge il virologo dell'università di Bologna, in una ricerca da lui coordinata, pubblicata sulla rivista scientifica Plos One.
Le indagini dei ricercatori si sono concentrate sulle piume: sarebbero queste, complice il grasso impermeabilizzante che le riveste, a catturare e accumulare il virus killer dall'acqua, dove può resistere anche per mesi, ma in percentuali insufficienti al contagio. Bagno dopo bagno, ora dopo ora, il virus raggiunge nelle piume una concentrazione straordinariamente superiore a quella ambientale. E gli uccelli, che da soli o reciprocamente si sistemano le piume col becco (attività cui dedicano il 10% della giornata), e ingeriscono il grasso, si contagiano. Questo meccanismo, assicurano gli esperti in una nota dell'ateneo, spiegherebbe molti aspetti ancora oscuri del contagio da aviaria, e potrebbe modificare i sistemi di prevenzione e monitoraggio della circolazione dell'influenza da virus H5N1.
"Si sospettava che l'acqua giocasse un ruolo chiave nella diffusione della malattia – spiega Delogu – ma nessuno era riuscito a capire come". Alcuni dettagli 'storici' supportano la teoria: uno dei Paesi più colpiti dall'aviaria è l'Egitto dove i casi umani sono concentrati sulle sponde del Nilo. Altro episodio non chiaro: l'unico caso documentato di esseri umani uccisi dall'aviaria per contatto con animali selvatici: 6 contadini dell'Azerbaigian che avevano spiumato, non mangiato, cigni infetti.
"La concentrazione del virus nel piumaggio degli uccelli acquatici spiega perché non sia necessario mangiarli per ammalarsi, e perché l'esposizione sia più frequente in prossimità degli specchi d'acqua e tra le donne, che in alcune aree del mondo sono dedite alla spennatura degli uccelli per la cucina", osserva l'esperto.
L'idea che il virus, dopo aver contaminato l'habitat acquatico attraverso le feci di un ospite infetto, si disperdesse senza più possibilità di contagiare non ha mai convinto Delogu, che nel 2005 fu il primo ad isolare il virus a bassa aggressività dell'aviaria in Italia, in un'anatra selvatica nel Modenese.
"Il nostro lavoro – prosegue – suggerisce che milioni di anni di evoluzione hanno sviluppato nel virus dell'aviaria questa capacità di legarsi allo strato di grasso degli uccelli acquatici. Così l'uccello sano diventa un veicolo efficiente di propagazione della malattia. Più di un animale malato o moribondo".
La scoperta potrebbe incidere anche sulla prevenzione: alla circolazione del virus, secondo gli studiosi, partecipano anche i soggetti già guariti dalla malattia, finora ritenuti sani e non contagiosi, in quanto negativi alle normali indagini sanitarie. Si comportano come "falsi negativi" e sono in grado di trasmettere la malattia ai vicini di stormo.
Proprio per questo, sostengono i ricercatori, "occorrerà forse rivedere le attuali procedure di prevenzione e sorveglianza dell'influenza. Ad oggi, infatti, i controlli si limitano a rilevare l'eventuale infezione dei volatili e la presenza del virus nelle feci". Ora si dovrà fare attenzione anche alle piume.
Gli scienziati hanno analizzato le penne esterne di alcune centinaia di animali, rilevando concentrazioni di virus in assenza di infezione e hanno provato ad immergere piume intrise di grasso in vasche d'acqua con bassa concentrazione virale, riscontrando che, già dopo le prime 24 ore, la concentrazione di virus sulle piume era aumentata notevolmente. Allo studio hanno collaborato anche ricercatori dell'Istituto superiore di sanità, dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna e dell'Ospedale St. Jude children's research di Memphis nel Tennessee.

Articlolo scritto da: Adnkronos/Adnkronos Salute