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Un successo l’incontro con Bruno Tinti

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Un successo l’incontro con Bruno Tinti

AREZZO – “La proposta della riforma della giustizia colpisce sempre la magistratura nei punti più sensibili della sua natura: obbligatorietà dell’azione penale e indipendenza della magistratura dai poteri politici e dall’esecutivo”. Questi sono stati alcuni temi affrontati durante l’incontro che Bruno Tinti, ex procuratore aggiunto a Torino, autore per Chiare Lettere del libro “La questione immorale”, ha avuto con Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Partito Democratico, Pietro Orsatti, redattore di Left e Maurizio d’Ettore, coordinatore provinciale FI-PDL in occasione del quarto appuntamento de “IL LIBRO PARLATO: incontri e confronti” iniziativa promossa da La Fabbrica delle Idee che si è tenuti sabato 9 gennaio 2010 presso il Caffè dei Costanti di Arezzo.

Tutto esaurito e molti spettatori costretti a seguire l’incontro in piedi; una platea molto interessata e che al termine dell’incontro ha affollato lo spazio libreria per acquistare il libro autografato di un ex procuratore che oggi si definisce un cantastorie.

Il dr. Tinti ha aperto l’incontro affermando che “si sta cercando di cambiare la Costituzione senza apparentemente modificarla e quindi senza dover trovare la maggioranza dei due terzi in Parlamento, che forse pensano di non avere, né affidandosi al referendum abrogativo, che già una volta gli si è rivoltato contro quando tentarono di cambiare la Carta. E’ ovvio che con questo sistema si vuole incidere sull’obbligatorietà dell’azione penale. Nel senso che il pubblico ministero, essendo un magistrato e perciò autonomo e indipendente, fa le sue scelte come crede. Per esempio, legge sul giornale una certa notizia e avvia un’indagine. Nel momento in cui noi gli impediamo di aprire un’indagine se non dopo aver ricevuto una denuncia della polizia, stiamo dicendo che lasciamo alle forze dell’ordine la facoltà di stabilire se un certo processo si farà oppure no. Il problema è che la polizia, a differenza della magistratura, non è né autonoma né indipendente, e quindi sarà sempre possibile per il potere politico impedire che un’indagine cominci col semplice espediente della telefonata del ministro dell’Interno al prefetto, del prefetto al questore, del questore al commissario, con le istruzioni «questa denuncia non si fa, questo rapporto non parte». È un modo per impedire alla magistratura di perseguire i fatti di malaffare che riguardano la classe dirigente”.

Si ritorna di fatto al vecchio Codice di procedura penale. Anzi, ancora più indietro. Bisogna tenere conto che i magistrati anche con il vecchio codice eravamo comunque in grado di iniziare il processo. Oggi questo non sarebbe più possibile.

Poi si faranno le indagini, ma naturalmente solo le indagini che il potere politico permetterà di fare. Più naturalmente tutto il ciarpame consueto.

Nel Paese c’è davvero poca informazione. E’ difficile capire per il cittadino, prima di tutto perché si tratta di tecnicismi e poi, in fondo, chi non ha Sky non sente nemmeno le notizie più banali.

E’ vero che con la nuova riforma della giustizia, le notizie di reato dovranno essere raccolte solo dalla polizia e non più dal pubblico ministero domanda uno spettatore?

“Questo sì che è una cosa veramente gravissima” risponde il dr. Tinti “perché sostanzialmente è un modo per cambiare la costituzione operando con legge ordinaria. In pratica la costituzione prevede l’obbligatorietà dell’azione penale, come tutti sanno, che è uno dei cavalli di battaglia di questa maggioranza: loro vorrebbero che i reati da perseguire fossero decisi dal parlamento. Ebbene, questo è molto difficile da fare perché bisogna cambiare la costituzione, occorre avere una maggioranza dei due terzi, oppure bisogna esporsi al referendum abrogativo (e già una volta gli è andata male). Allora che cosa hanno pensato di fare? Hanno pensato di dire: ok, l’azione penale è obbligatoria; i magistrati, in particolare il pubblico ministero, dovranno fare un indagine per ogni reato che viene a loro conoscenza; ma, quali sono i reati di cui loro vengono a conoscenza? Sono quelli che gli dice la polizia. E a questo punto bisogna pensare che la polizia non è autonoma e indipendente, come la magistratura. La polizia dipende gerarchicamente dal ministero dell’interno. Oppure i carabinieri dal ministero della difesa. E naturalmente, quando sarà il caso, il ministro dell’interno sulla base di quanto deciso dalla maggioranza, ordinerà al prefetto della città il quale a sua volta lo ordinerà al questore, il quale a sua volta lo ordinerà al commissario, il quale a sua volta l’ordinerà all’ispettore o all’agente, “questo processo non si fa”.

Dr. Tinti, quando si può parlare di “questione immorale? La classe politica spesso usa questi termini ma poi si perde nel significato della parola stessa” aggiunge un altro spettatore.

“Io non farei esempi di moralità o immoralità della nostra classe dirigente. Il discorso è molto più ampio. Basta guardare la nostra situazione e la nostra storia. La rappresentanza politica che è presente in Parlamento non è certo nata oggi. Se il Paese, da anni ormai, esprime la propria preferenza per questa classe dirigente evidentemente questo significa che noi cittadini vogliamo essere rappresentati da certi soggetti, perché ci identifichiamo negli stessi. Poi va considerato che siamo in presenza di un circolo vizioso perché i cittadini non sono informati a causa di un tipo di informazione proprietaria che effettua un certo tipo di propaganda. Se il cittadino non viene informato, e non supera questo handicap tentando egli stesso di reperire informazioni tramite internet o quotidiani, ecco che i cittadini restano sudditi, continuando anche in futuro ad esprimere preferenze per leader che approfittano della situazione per proprio vantaggio. Ma la cosa ancora più preoccupante è che la nostra è una classe dirigente inquinata dal malaffare perché ad essere inquinato è il popolo italiano. E per dimostrare questo non serve fare grandi esempi, basta guardare alle piccole cose. Dalle auto parcheggiate in doppia fila, fino ai limiti di velocità mai rispettati. O ancora le leggi sulla parità di diritto tra uomini e donne sul lavoro o tra italiani e stranieri. Queste sono leggi che esistono ma che nel nostro Paese vengono raramente rispettate. E se si è così nel piccolo provate ad immaginare quando si ha tra le mani la gestione del potere”.

Ci sono neologismi che hanno avuto molta fortuna, malagiustizia su tutti. E poi malauniversità, malapolitica e malasanità. Tutte parole usate a sproposito: quando un giudice si vende una sentenza è malagiustizia (lo è anche quando emette una sentenza sfavorevole a una certa fazione politica; quando invece la sentenza interessa la fazione avversa, allora “le decisioni della magistratura vanno rispettate”. Ma questa è un’altra storia); quando si scopre un concorso truccato per la nomina di un professore è malauniversità; quando un politico si fa coprire di tangenti è malapolitica; quando un medico lascia una pinza nella pancia di un paziente o sbaglia una diagnosi è malasanità. Naturalmente non è vero niente: si tratta semplicemente di reati, commessi di volta in volta da giudici, professori universitari, politici, medici. Criminalità comune, magari diffusa, proprio come si scoprì ai tempi di Mani Pulite e come continua a scoprirsi oggi nei più disparati settori della pubblica amministrazione.

“Dr. Tinti, secondo Lei è davvero possibile una riforma della giustizia?” conclude un altro spettatore.
“La riforma della giustizia? È diventata una paradossale lotta di classe. Perché gran parte della classe politica si batte da almeno 15 anni per paralizzare procure e tribunali. Ma è soprattutto una "questione immorale", che ha perso qualunque decenza. Ogni riforma creata per aumentare lo scudo a protezione dei potenti non incide solo sui loro processi: aumenta l'inefficienza dell'intero sistema, fa lievitare la montagna di fascicoli arretrati e reati dimenticati. La riforma dell'interesse privato in atti d'ufficio e dell'abuso d'ufficio ha reso praticamente impossibile punire i reati commessi dagli amministratori pubblici. Di controriforma in controriforma, il rischio è quello di svuotare la Costituzione”.