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La fine della civiltà occidentale secondo Antonio Scurati

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La fine della civiltà occidentale secondo Antonio Scurati

Il Giardino delle IDEE ha ospitato sabato 14 gennaio nella splendida cornice dell’Auditorium del Museo d’Arte Medioevale e Moderna di Arezzo il prof. Antonio Scurati per la presentazione del nuovo romanzo “La seconda mezzanotte”.

Di fronte a un pubblico numeroso e molto interessato Antonio Scurati ha risposto con simpatia e gentilezza, in diretta streaming su intoscana.it, alle domande poste dalle giornaliste Antonella di Tommaso e Barbara Bianconi del Giardino delle IDEE accompagnate nell’occasione da Linda de Benedictis.

Scurati rivendica con orgoglio la propria vocazione di intellettuale.

E questo in un’epoca dominata dal disincanto e dalla volgarità televisiva ne fa una figura atipica nel panorama letterario italiano.

Ha iniziato a scrivere praticando i territori della poesia, per approdare successivamente al romanzo.

Antonio Scurati è senza dubbio uno dei pochi scrittori italiani a generare immancabilmente dibattito con i suoi libri e con le sue idee.

Pronto a difenderle anche se appaiono contrarie al bisogno comune di non indugiare nel dubbio, preservando così le muraglie di certezze radicate e rassicuranti che ergiamo alle nostre spalle, Scurati ci impone spesso di guardare ciò che ci viene proposto giornalmente dai media come la faccia malata del mondo: la violenza, il sopruso, l’orrido e il perverso in tutte le sue sfaccettature.

Prof. Scurati, “La seconda mezzanotte” si presenta come un romanzo “del dopo”, “dopo” la fine della civiltà occidentale, “dopo” che uno tsunami devastante ha cancellato, insieme ad una città, anche sogni e speranze. Perché un romanzo post-apocalittico?

“E' un romanzo che cerca di farsi carico letterariamente del senso di crisi profonda che molti di noi avvertono, in Italia e in Europa, da molto tempo e che solo negli ultimi mesi si è conclamata. A me però interessava narrare lo sfinimento di una civiltà, il suo declino languido, vizioso ed estremo non lo scenario di un ipotetico azzeramento del mondo civilizzato che domina l'immaginario apocalittico mediatico. La "barbarie" non è un ritorno al primordiale ma una progressione regressiva. A petto di essa, il paradigma apocalittico può essere una posa coraggiosa e combattiva per ripensare il senso delle "cose prime" interrogandosi sull'avvento delle cose ultime".

Dobbiamo pensare di essere alla fine dei tempi, alla soglia di una crisi epocale della civiltà occidentale? Cosa ha portato a questo declino?

“L'Occidente è la terra del tramonto, il suo destino è quello di non smettere mai di tramontare. Pensare di "vivere alla fine dei tempi" è un modo archetipico per rimanere fedeli alla nostra vocazione critica. La domanda che ci sta di fronte è: cosa ci porterà fuori da questo declino?”

Con la sua trama di fantasia “La seconda mezzanotte” ci impone di riflettere su ciò con cui, in realtà, ci confrontiamo quotidianamente, ossia, la violenza, il sopruso, la perversione. E' così?

“Una delle caratteristiche fondamentali delle attuale decadenza occidentale (morale, sociale e culturale) discende dall'aver confinato la violenza subita ma soprattutto inflitta ai confini del nostro mondo vissuto. Ne consumiamo enormi quantità sotto forma di violenza mediatica disintensificata e deleghiamo l'esercizio della violenza diretta a gruppi professionali o a strumenti tecnologici (eserciti, apparati repressivi di polizia, organizzazioni criminali, caccia bombardieri etc.). Siamo violenti per interposta persona e godiamo perversamente dello spettacolo della sofferenza altrui”.

La realtà che ci circonda ci assedia con i suoi mille specchi riflettenti e deformanti, costringendoci a velocità che ci fanno perdere il contatto con la realtà stessa. Come decide, fra i mille input che giornalmente ci bombardano, quale sia quello su cui costruire una storia?

“Tendo a scegliere, tra i mille input che “ci bombardano” generando una vasta bolla di irrealtà quotidiana, proprio quelli che generano l’illusione di realtà. Tra questi, la violenza mediata è uno dei principali. Più sprofondiamo in una coltre di irrealtà più coltiviamo il mito di zone di realtà ultimativa ed estrema che ci illudiamo possano riscattarci dal nostro torpore cognitivo e dalla nostra passività. Le situazioni limite della violenza sono al centro di questa mitologia perversa dell’esperienza. Basta guardare a quanto successo hanno tutti i racconti criminali, letterari e televisivi. In seconda istanza, tendo a eleggere a tema della mia narrativa quei frammenti del mediascape contemporaneo in cui riecheggiano forme archetipiche della nostra cultura, attraverso i quali l’antico, l’atavico, il premoderno si rivelano successivi al sogno infranto della modernità”.