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Maria De Filippi a Vanity Fair: ‘Quando bevevo troppo’

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Maria De Filippi a Vanity Fair: ‘Quando bevevo troppo’

Oggi prodiga ai suoi giovanissimi Amici consigli materni, dentro e fuori il programma – che termina a Verona il 18-19 maggio con la finale all'Arena, e che neppure lei sa se continuerà su Canale 5 («Non nego di aver avuto contatti con Sky, ma per ora non considero la loro offerta un’alternativa a Mediaset… Me ne andrei se, a parità di mezzi, mi rendessi conto che con Piersilvio non c’è più sintonia perfetta e fiducia piena… La Rai? Perché no?… La7? Non mi piace l’aria snob che c’è lì. Mi vedono come l’Anticristo, perché dovrei andare e sperare che cambino idea?»). Ma quando era giovane lei stessa, di consigli ne aveva, casomai, bisogno. Lo confessa Maria De Filippi a Vanity Fair, che le dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 16 maggio, in un'intervista senza paletti: i nemici, le paure e molto altro. A cominciare da un passato abbastanza sorprendente agli occhi di chi la conosce oggi, e per una che da bambina era stata educata in maniera severa («Volevo addirittura fare la suora, pregavo sempre»).

«Sì, ne ho combinate davvero tante. Se uscivo con gli amici, per smollare i freni inibitori bevevo tantissimo. I miei weekend a Cervinia erano pieni di Negroni, vodka lemon e tequila boom boom. Oggi sono astemia. Smisi quando un giorno, al bar delle guide dove andavo ogni sera, ordinai un caffè. Il barista mi chiese se volevo la correzione: erano le 11 di mattina». Oggi crede ancora? «Sì. Ma non posso andare in chiesa perché sono sposata con un uomo divorziato (Maurizio Costanzo, ndr). Al matrimonio di mio fratello, dopo avermi confessata, il prete mi negò il permesso di fare la comunione. È una cosa che patisco molto». Che cosa le piacerebbe fare? «Andare a New York. Non ci sono mai stata perché ho paura di volare, mi prende la tachicardia… In questi anni ho sviluppato paure di ogni tipo: in auto ho il terrore dei ponti, e dei camion». Guida lo stesso? «Mi sforzo. Ma solo accompagnata». Costanzo era amico di Giovanni Falcone. Nel maggio del 1993, un anno dopo la morte del magistrato a Capaci, anche a lui venne teso un attentato, a Roma, in via Fauro. In auto eravate seduti insieme. Come ha superato quell’esperienza? «Con un lungo periodo di ipnosi. Avevo paura di tutto. A un certo punto mi feci promettere da Maurizio che non avrebbe mai più parlato dell’argomento». Pensa mai a quando suo marito, fra cent’anni, non ci sarà più? «No. Perché per me sarà veramente un disastro, come quando è morto mio padre… Maurizio è più realista, spesso ne parla, e mi fa diventare matta. Non lo voglio sentire… Si diverte a dire cose come “quando non ci sarò più”, oppure “tu sarai la persona che mi terrà la mano fino all’ultimo momento”. Sarà terribile. Non voglio pensarci».