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Mario Monti…il tedesco!

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Monti ha dichiarato: “A volte credo di essere stato nominato per dare risposte ai tedeschi, perché in Germania sono considerato il più tedesco degli economisti italiani". Il premier somiglia molto ai politici tedeschi. Sobrio, colto ed elegante nell’aspetto. Diverso insomma dai “latini” Berlusconi & C. e anche geneticamente diverso dai “celtici” Bossi e Calderoli, ma – in comune con loro – il capo del governo e i ministri non sanno cos’è il lavoro in fabbrica, ignorano cos’è una catena di montaggio e faticano persino a capire lo stress del lavoro d’ufficio. Ci chiediamo però a quale politico della storia tedesca somigli di più il Presidente del Consiglio italiano, e ne abbiamo trovato uno per molti aspetti simile a lui: Heinrich Brüning. Il cancelliere Brüning non è molto conosciuto dagli italiani mentre i tedeschi hanno ancora memoria dei danni che ha commesso. Nel 1930, Brüning sale al potere quale esponente della destra del Partito Cristiano Democratico: il cancelliere tedesco utilizzò l’art. 48 della costituzione che consentiva al Presidente della Repubblica di non tener conto della volontà del parlamento e di governare per mezzo di decreti “di necessità”. Il governo ridusse così i sussidi ai disoccupati, le pensioni agli anziani, agli invalidi del lavoro e di guerra e gli stipendi degli impiegati. I decreti permisero agli imprenditori di ridurre i salari agli operai tanto che il loro reddito si dimezzò in un solo anno. Nel frattempo il governo aumentò le tasse e ridusse di un miliardo di marchi gli investimenti pubblici. La riduzione della capacità d’acquisto degli operai colpì soprattutto artigiani e commercianti, molti dei quali andarono in rovina. Con il pretesto della lotta alla crisi economica, il governo Brüning assegnò ai grossi industriali ed ai banchieri alcuni miliardi di marchi sotto forma di crediti e ridusse le tasse ai capitalisti: proprio come oggi, quando, altrettanto prosaicamente, le imprese sono finanziate con i profitti delle liberalizzazioni e con l’aumento delle tariffe; pertanto l’aumento delle autostrade va ai Benetton, quello del gas alla Snam, quello dell’elettricità a Enel e via discorrendo; ben poco entra nelle casse dello stato. Nel 1931, in occasione della “riforma bancaria”, vennero divisi tra i banchieri oltre 1 miliardo di marchi. La crisi aggredì le masse popolari: la protesta crebbe e vi furono scioperi a largo raggio e grande partecipazione di massa, ma la borghesia – timorosa del crescente malcontento anticapitalista – sostenne, come argine alle rivendicazioni operaie, il partito nazional-socialista di Adolf Hitler…. Il resto che ne conseguì è storia ben nota.
Oggi, nel pieno della 2^ grande depressione del capitalismo, Monti non esita a colpire le masse popolari con tasse, aumenti dell’età pensionabile, e pseudo-riforme del mercato del lavoro, che si sostanziano nella libertà di licenziamento, come se non ve ne fosse abbastanza… Questo è già un paese dove i licenziamenti sono realtà quotidiana, ma abolire l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori significa mettere sotto ricatto lavoratori e lavoratrici. I padroni potranno licenziare un dipendente anche perché semplicemente una mattina si alzano di pessimo umore, oppure perché il lavoratore si è preso un’influenza di troppo, oppure perché sciopera per i suoi diritti… Si tratta di un attacco rozzo del capitale al mondo del lavoro, frutto dell’ottusità di gran parte del mondo padronale italiano, incapace di innovarsi. L’ingresso nella moneta unica è stato in Italia una grande occasione sprecata. Avere una moneta forte che permetteva il credito a bassi tassi di interesse e bassa inflazione rispetto alla vecchia lira non si è tradotto in nuovi investimenti ed è avvenuta una speculazione sui prezzi incontrollata dal secondo governo Berlusconi, che ha pesantemente ridotto il potere d’acquisto di salari e stipendi. La borghesia industriale italiana non ha saputo cogliere le opportunità che si spalancavano con un mercato di più di trecento milioni di consumatori e non ha sufficientemente investito in innovazione, ripiegando bensì su produzioni di basso valore aggiunto che ben presto sono state spazzate via dalla concorrenza dei paesi emergenti dell’Europa orientale e dell’Asia. Il capitale tenta ora di porre rimedio, con una toppa peggiore del buco, annientando tramite il braccio armato del governo Monti/Napolitano/BCE, il poco welfare rimasto e i diritti dei lavoratori, e delocalizzando all’estero per aumentare i profitti a scapito dell’occupazione in Italia. Tuttavia la limitatezza mentale degli industriali italiani non ha uguali al mondo (Fiat/Marchionne docet) e non è capace di investire in nuovi prodotti. Si avvita su se stessa vendendo prodotti sempre più obsoleti e scadenti e perdendo larghe fette di mercato interno e internazionale. Occorre una svolta, che può venire soltanto da Sinistra, con nuovi investimenti pubblici, soprattutto nell’ambiente, nelle energie rinnovabili (concludendo la vergogna tutta italiana degli incentivi alla combustione dei rifiuti) e nella ricerca scientifica, che permetterebbero al nostro paese di non perdere competitività. Ci vogliono politiche di sostegno al reddito (non la Flexsecurity di Ichino, amata sia dal PD che dal PDL e nel governo, che sono soltanto chiacchiere per togliere diritti a chi lavora) che permettano a chi lavora di non essere povero e a chi non lavora di avere un sostegno in attesa di trovarne un altro. Bisogna ripristinare, anche tramite consultazione referendaria, l’età pensionabile al massimo a quaranta anni di contributi per permettere davvero ai giovani di lavorare e a chi ha cominciato giovane a lavorare di ritirarsi prima dal lavoro, perché il sistema delle pensioni italiano era ben solido e strutturato anche prima di questa riforma cialtrona e funzionava bene, creando un guadagno per le casse dello stato di 27 miliardi l’anno. Non attendiamo che qualcuno dell’attuale maggioranza si ravveda e modifichi in futuro il sistema pensionistico in senso migliorativo. Cambiarlo tocca a noi e soltanto a noi. Se non ora quando? Scegliere di proseguire sulle strade “tedesche” di Monti è pericoloso e non vogliamo ripetere gli errori della storia. Per far questo dobbiamo muoverci, mettendo da parte astruse alleanze con forze neoliberiste e alleandoci con il grande popolo di lavoratori, lavoratrici, pensionati, disoccupati, precari. Solo camminando con loro, dando voce alle loro istanze, possiamo cambiare il corso degli eventi e uscire dalla crisi.