
Lo spettacolo che viene replicato dopo il successo della prima nel marzo del 2012 sarà un’ulteriore occasione per conoscere la straordinaria storia raccontata in un libro da Paola che nasce a Montevarchi il 3 maggio 1942. Cresce in una famiglia operaia insieme alla sorella. Già a nove anni comincia a fare i conti con la distrofia muscolare. Bella e trasgressiva la sua voce e il suo canto emergono libertari e struggenti. Gli amici, i viaggi, le letture sono la sua scuola, le sue fonti. Ma Paola possiede in sé un’altra scuola, quella del dolore, della solitudine, che mai lascia trasparire fuori di sé.
La messa in scena restituisce la condizione fisica di immobilità contrapposta al movimento agile della mente e delle parole di Paola, il mondo attorno a un letto, suoni e immagini che si fondono e si confondono in esso. Paola è ormai da tempo completamente dipendente dagli altri. L’immobilità e le difficoltà a risolvere i bisogni più semplici del corpo sono i fatti costanti della sua esistenza. E sebbene trovarsi nelle mani degli altri non corrisponda alla comune idea di libertà, nell’opera di Paola questa sua condizione diventa un ringraziamento a tutte le mani che hanno fatto il mondo, ad iniziare da quelle di sua madre.
Scrive Adriano Sofri cui è stata affidata la prefazione dell’opera: “Lei ha fatto del proprio corpo un catalogo vibrante di tutte le mani che le sono passate addosso, un archivio segreto di impronte digitali inconfondibili. È questa la rivelazione impressionante del suo monologo”.