Home Attualità Arci: “Che ne è del progetto infanzia”

Arci: “Che ne è del progetto infanzia”

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Nella più totale indifferenza dell’opinione pubblica e con un atteggiamento sconcertante e disinvolto degli amministratori locali si sta per concludere la parabola discendente di ciò che ancora resta del “Progetto infanzia”, avviato con grande entusiasmo nei primi anni ’70 e portato avanti, con ritmi indubbiamente sempre più stanchi, fino agli anni ’90. Chi amministra la città può addurre mille ragioni per giustificare l’agonia e la morte certa di questo interessante esperimento, che proiettò Arezzo sulla scena nazionale ed anche oltre i confini nazionali, ma noi resteremo comunque perplessi, perché vedere morire un progetto di grande valore sociale e culturale nel silenzio lascia sempre adito a qualche dubbio. L’assicurazione che viene data ai cittadini è che non si perde un solo posto nei nidi e nella scuola dell’infanzia, come pure non si perde nulla della qualità dei servizi. Sostenere questa seconda tesi è pura ipocrisia. Forse è vero che quantitativamente la situazione non muta, ma qualitativamente crollano tutti i presupposti di quel progetto che era ad un tempo una risposta sociale ed un’operazione culturale che, coordinandosi con una vasta serie di attività del territorio, tendeva a sviluppare nel fanciullo, nel momento di massima fecondità dell’evoluzione umana, una solida base per una vita serena e socialmente ricca. Lavorare insieme per gli stessi obiettivi e confrontarsi costantemente per verificare la correttezza del procedere era l’essenza del progetto, essenza costata non poca fatica, perché si partiva dalla convinzione della gente e degli stessi partiti che i servizi fossero in funzione delle esigenze degli adulti e non dei bambini. Furono necessarie battaglie lunghe e silenziose per ridurre gli orari nell’ interesse dei bambini, per convincere gli insegnanti della necessità di un aggiornamento continuo, per far partecipare genitori, circoscrizioni, associazioni, gente non direttamente interessata alla vita e alla crescita della scuola, per accogliere bambini con gravi problemi al fine di offrire loro una possibilità diversa dall’ isolamento familiare, per impostare un discorso non condizionato dalle competenze legislative che determinavano una netta separazione tra il nido e la scuola dell’infanzia. Era fondamentalmente una battaglia culturale avviata in una città che aveva, e purtroppo ancora ha, una visione della cultura tutta rivolta al passato o ricondotta solo agli eventi. Si chiude un esperimento per ragioni di forza maggiore? Ma almeno non facciamo finta che non stia succedendo nulla!