Home Nazionale Commercio: Confimprese, a Milano centri commerciali giù, -60% in 2 anni

Commercio: Confimprese, a Milano centri commerciali giù, -60% in 2 anni

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Milano, 22 ott. (Adnkronos) – Nel commercio il barometro segna tempo incerto: da un lato segnala la brusca frenata delle aperture dei centri commerciali e, dall’altro, l’escalation del centro storico di Milano. Questo, in sintesi, ciò che emerge dalla ricerca ‘Focus sui centri commerciali e survey sul centro storico di Milano’ condotta dalla società di consulenza Reno per Confimprese.
Analizzando la situazione dei centri commerciali lo studio segnala la pesante caduta delle aperture nel 2014: solo 6 contro gli 8 del 2013 che, a loro volta erano già la metà rispetto al 2012. Un trend fortemente negativo: in due anni si è perso il 60% delle aperture. Di contro, il dato positivo è sul biennio 2015-2016: la pipeline prevede rispettivamente 16 e 18 aperture di nuovi centri commerciali, rispecchiando in questo modo gli stessi numeri registrati nel 2011-2012; nulla a che vedere, però, con le 50 aperture del biennio 2005-2006 e addirittura le 58 del 2007.
Su Milano ci sono all’attivo 2 progetti ambiziosi: la prossima apertura nel 2017-2018 di Westfield Milan a Segrate, 60mila ettari, centro innovativo e polifunzionale che sarà il più grande d’Europa, in cui sarà presente per la prima volta in Italia anche Galeries Lafayette, e il maxi centro di Arese, un investimento da oltre 700 milioni di euro su un’area di 1,6 milioni di mq in vista di Expo 2015.
Ad oggi i migliori centri commerciali italiani sono localizzati su Roma (Porta di Roma) e su Firenze (I Gigli), entrambi con 18 milioni di passaggi; meno performanti i centri commerciali prime attivi a Milano, Carosello di Carugate e Fiordaliso di Rozzano che – sia pure contando su circa 100 punti vendita ciascuno – hanno la metà dei visitatori, solo 9 milioni l’anno.
“Rispettare i piani di apertura – afferma Mario Resca, presidente Confimprese – dipenderà, però, non solo dalla situazione Paese fortemente instabile, ma anche dalla contrazione dei consumi, principale responsabile della flessione del traffico nelle gallerie. I retailer sono intenzionati ad aprire nuovi punti vendita, ma a patto di avere garanzie certe sulle tempistiche, costi più equi e meno burocrazia”.
Solo 11 dei 924 centri commerciali in Italia, vale a dire il 6,7% del totale, aggiunge Resca “sono ‘prime’, dato che non trova riscontro nella situazione degli altri paesi europei. Servono progetti innovativi, che permettono al consumatore di vivere una ‘entertainment experience’ come accade all’estero, dove la percentuale di punti vendita della ristorazione nelle gallerie arriva al 20% contro il 6-8% dell’Italia, l’offerta è differenziata da centro a centro e il cliente è attratto dall’offerta della galleria commerciale più che dall’ancora food, il cui peso si sta progressivamente riducendo”.
Il non food si focalizza su vie ad alto traffico, tendenzialmente posizionate nel cuore della città dove il tipo di clientela non è solo locale ma anche turistica: è la zona Duomo ad aggiudicarsi la pole position come centro dello shopping per eccellenza. Particolarmente significativo il caso di via Torino (tratto Via Orefici-piazza San Giorgio), divenuta una delle vie più promettenti del momento, lunga oltre 1 chilometro e con circa 120 punti vendita. Per consumatori e retailer via Torino è storicamente il negozio ‘di rinforzo’, ossia il negozio in cui si riversano i milanesi nel weekend quando corso Vittorio Emanuele (20 milioni di passaggi all’anno) è oggettivamente inaccessibile.
I conteggi di pedonalità hanno suggerito l’adeguamento del rating della via da AA a AAA, tanto che ancora prima dell’apertura di Nike (16 settembre 2014) via Torino era in grado di sviluppare una media di 11 milioni di passaggi all’anno con punte da 14, suddivisi tra residenti, clientela business, turisti e studenti. Il profilo dei punti vendita si è trasformato da negozi ‘di rinforzo’ in ‘prima scelta’, con un’offerta che va dal fast fashion al casual food. Malgrado la via continui a essere attraversata da auto e mezzi pubblici, o forse proprio per questo, i grandi marchi hanno cominciato ad aprire flagship, soprattutto di moda giovane e veloce.
Stanno arrivando ancore in ambito food (Magnum e Cioccolati Italiani) e sono ripartiti gli investimenti immobiliari, basti pensare alla completa ristrutturazione del nuovo palazzo Ras. Insomma, nel 2012 sul medesimo tratto di via il vacancy rate, ossia il numero dei locali vuoti sul totale delle unità disponibili era del 17%, oggi è del 5%. E le unità vuote sono in larga misura oggetto di riqualificazione o in attesa di apertura. Gli affitti vanno da un minimo di 900 a un massimo di 2.500 euro, range che cresce su via Dante (1.500-2.600 euro), in corso Vittorio Emanuele (2.500-4.000 euro) e in piazza del Duomo (2.000-7.000 euro).
Il lusso nei periodi di crisi resta una garanzia. Le grandi griffe italiane e internazionali confermano il loro potere attrattivo. Il turnover nelle vie principali del quadrilatero è molto ridotto e i costi degli spazi restano nella hit parade delle location più care al mondo: già il minimo è molto alto. Si va dai 4.000-7.000 euro di via Monte Napoleone ai 3.200-4.900 di via della Spiga per scendere ai 1.700-3.000 di via Manzoni. Cresce anche l’interesse per le vie perimetrali e secondarie grazie all’apertura di numerosi flagship di brand emergenti o di formule di prestigio accessibile, come dimostra il caso di corso Venezia.
Quanto al food “è il nuovo centro di attrazione – conferma Gian Enrico Buso, managing director Reno – e, come tale, gioca un ruolo determinante nei processi di riqualificazione di aree esistenti e di sviluppo di nuovi territori, grazie anche alle aspettative legate a Expo 2015. A quest’ultimo si deve probabilmente anche la minore attenzione degli investitori verso il sud Italia, considerato geograficamente un’area più rischiosa rispetto al nord”.
È proprio dal food che sembra arrivare una prima risposta al tema del reinventarsi. Piacere, inteso come soddisfazione, gradimento, divertimento è diventato la parola d’ordine. In questo ambito si creano nuovi bisogni oltre che nuovi desideri e dunque assistiamo alle maggiori innovazioni: nascono nuovi format, nuove idee, nuove proposte. L’elemento che sembra più promettente è che nel food i grandi nomi sono un’ispirazione ma chi fa crescere il settore sono i singoli, il cui profilo a Milano oggi è giovane, ha visto un pezzo di mondo perché ci ha studiato o ci ha lavorato, torna a casa e si inventa un mestiere.