Home Nazionale Il pane sulle tavole degli italiani, oltre 300 varietà e 5 certificazioni europee

Il pane sulle tavole degli italiani, oltre 300 varietà e 5 certificazioni europee

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Roma, 19 apr. – (Adnkronos) – Nonostante la riduzione progressiva del suo consumo, il pane resta un ‘must’ sulle tavole degli italiani, soprattutto se fresco: il 57% degli italiani, infatti, dichiara di comprare pane artigianale. A tracciare il quadro è un’indagine realizzata dalla Cia, Confederazione italiana agricoltori, che evidenzia la rivincita del locale sul ‘pane lavorato’ molto diffuso nelle catene della Gdo.
Dal 2000 a oggi il pane fresco ha conquistato quasi 1,9 milioni di nuovi consumatori, soprattutto tra gli imprenditori, i dirigenti, i professionisti, gli impiegati, gli insegnanti e gli studenti. Si tratta di un target medio-alto che torna o accede per la prima volta al pane artigianale. Un atteggiamento che premia le oltre 300 varietà di pane presenti in tutt’Italia. Cinque le ‘punte di diamante’ del pane italiano che hanno conquistato le certificazioni europee.
Si parte con il pane di Altamura che, con la registrazione Ue del 18 luglio 2003, è stata la prima Denominazione di origine protetta in Europa nella categoria dei prodotti da forno. La zona di produzione è la Puglia, nel territorio del Parco nazionale dell’Alta Murgia, nelle province di Bari e Barletta-Andria-Trani. Tra le curiosità, c’è la ‘cottura’ del bollino, che viene applicato sulla forma prima che sia immessa in forno.
Con registrazione Ue del 17 giugno 2009, la pagnotta del Dittaino Dop si contraddistingue per la capacità di mantenere inalterati per cinque giorni il sapore e la freschezza. Se conservata in luogo fresco e asciutto, il tempo di conservazione può arrivare fino a 10 giorni. Strettamente connessa all’utilizzo di grano duro, la pagnotta del Dittaino viene prodotta in Sicilia.
Con registrazione Ue del 17 ottobre 2001, la Coppia Ferrarese Igp si distingue da tutti gli altri pani per la sua forma inconfondibile, caratterizzata da un corpo centrale e quattro ‘corna’ chiamate crostini. La zona di produzione è l’Emilia Romagna, in particolare la provincia ferrarese.
C’è poi il pane Casareccio di Genzano Igp. Con registrazione Ue del 24 novembre 1997, questo tipo di pane ha una fragranza e un profumo attribuiti all’uso del lievito madre e alla qualità e varietà dei cereali impiegati. La zona di produzione è il Lazio e si sviluppa sull’intero territorio del comune di Genzano, in provincia di Roma.
Con registrazione Ue del 21 febbraio 2008, il pane di Matera Igp rappresenta il prodotto simbolo della Città dei Sassi. Per prepararlo, si utilizza semola di grano duro proveniente in larga parte da ecotipi locali e vecchie varietà, come l’antica ‘varietà Cappelli’, che ha una spiga nera altissima. Viene prodotto in Basilicata in tutta la provincia di Matera.
Oltre 300 varietà di pane che raccontano e rappresentano la storia e la tradizione dei territori, e 5 pani a denominazione di origine, dal pane di Altamura a quello di Matera passando per il pane di Genzano, “che hanno disciplinari molto rigidi e garantiscono quindi la massima sicurezza”. Così all’Adnkronos Rolando Manfredini, responsabile sicurezza alimentare di Coldiretti, che ai consumatori consiglia di rivolgersi alla tradizione per assicurarsi il massimo della qualità.
“Per il pane – spiega Manfredini – non c’è obbligo di indicazione in etichetta dell’origine, pertanto il sistema di tracciabilità del prodotto diventa difficile ed è quindi possibile avere a che fare con pane congelato e ‘riformulato’, che viene dall’estero e di cui non si conoscono bene i processi produttivi”. Il consiglio ai consumatori è dunque quello “di rivolgersi a nostri pani tradizionali, agli agricoltori che fanno vendita diretta e ai rivenditori di fiducia”. Insomma: il profumo del pane fresco appena fatto non inganna.
Una garanzia ulteriore potrebbe però arrivare dall’etichetta: “il pane è un prodotto trasformato, ma l’origine della materia prima, cioè del grano, dovrebbe essere identificata, perché il pane è il risultato di una filiera che vede coinvolti l’agricoltore, il mugnaio e il forno. Una filiera che deve essere identificata e l’etichetta potrebbe farlo”.
Le varietà antiche dei grani rendevano più aromatico il pane di una volta. Una tradizione che negli anni si è persa lasciando il posto a forme più fantasiose ma poco legate ai territori di produzione. A tracciare un quadro all’Adnkronos è Enrico Giacosa, dirigente dell’Associazione autonoma panificatori della zona di Alba e presidente del Consorzio di Tutela ‘Pan ed Langa’ impegnato a panificare farine di varietà antiche, grazie alla collaborazione dei coltivatori locali.
Con il consorzio, spiega Giacosa, ”siamo partiti quattro anni fa seminando le prime due varietà di grano: gambo di ferro e rosso gentile”. Una scelta dettata dalla voglia di riscoprire la tradizione ma anche vecchi sapori: ”A parità di macinazione della farina, infatti, con una varietà di grani antichi abbiamo constatato un aumento del 30% delle sostanza aromatiche”.
Il tutto poi a km zero. ”La farina tradizionale, quella che si acquista oggi, è totalmente slegata dalla produzione e così è difficile capire come la qualità del campo possa influire sul prodotto finale”. Ma quali sono le regole per scegliere un pane buono e di qualità? ”E’ difficile dare una definizione universale ma di sicuro un pane buono deve essere digeribile e avere un sapore adatto ad accompagnare bene il cibo”.
Purtroppo, però ”sul concetto di pane c’è un po’ di confusione e la stessa legge non è chiara”. Oggi, infatti, viene considerato pane, ”qualsiasi alimento prodotto con farina alimentare”. Ma non è proprio così. Secondo Giacosa, bisogna riscoprire il bello del passato e in questo ”serve un po’ di educazione rivolta ai consumatori. Negli ultimi anni, però, devo dire che stiamo assistendo ad un forte interesse al pane di qualità” e questo ”è un segnale di speranza che sta portando alla nascita di persone altamente formate”.
L’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, nata da un’idea di Slow Food, ha, infatti, avviato dal 2013 i primi corsi di Alto Apprendistato volti a preparare le figure professionali più richieste dal settore alimentare: dal panettiere al pizzaiolo, dal mastro birraio all’affinatore di formaggi. A giugno scadono le iscrizioni per i corsi che prendono il via a settembre.