Home Nazionale Libri: ‘Io, killer mancato’, il giornalista cresciuto coi mafiosi

Libri: ‘Io, killer mancato’, il giornalista cresciuto coi mafiosi

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Palermo, 30 set. (AdnKronos) – E’ il 2 marzo 1966 e a Palermo piove. Un ragazzo di diciassette anni impugna una pistola per l’uccidere l’uomo che anni prima aveva ammazzato suo padre “lasciandomi orfano a tredici mesi”. La vittime designata tiene in braccio un bambino piccolo. Il ragazzo con la pistola in pugno e’ davanti a un bivio. Pensa che se uccide quell’uomo, rendera’ orfano quel bimbo. E rovinera’ anche la sua vita. Alla fine decide di allontanarsi. Oggi il giornalista Franco Viviano, autore di numerosi scoop, racconta la sua storia, la storia di un ragazzo che ce l’ha fatta, nel libro ‘Io, killer mancato’ (Chiarelettere, 143 pagg.,14 euro).
La sua infanzia, povera, nel quartiere Albergheria, nella casa dei nonni: “una sola stanza con il pavimento in cemento, con una tenda che separava la cucina da un gabinetto rudimentale”. In quella stanza vivevano in sette. “Eravamo poveri, poverissimi – racconta Viviano – ma dignitosi. Mio nonno era molto rispettato nel quartiere”. Un’infanzia trascorsa con i nonni e gli zii.
Il padre Salvatore ‘Totò’ era stato ucciso, ad appena ventidue anni, il 26 marzo 1950 nel corso di una tentata rapina e Franco e’ cresciuto con il nonno ‘Ciccio’ che, da bambino, lo portava con se nelle taverne dell’Albergheria.
“Nel mio quartiere – racconta Viviano – c’erano personaggi legati a diverse famiglie mafiose: Madonia, Riccobono, Scaglione, Troia, Liga Nicoletti, Di Trapani, Davì, Pedone, Gambino, Bonanno, Micalizzi e Mutolo, la crema di Cosa nostra. Vivevamo fianco a fianco”. Eppure franco Viviano e’ riuscito a non superare quella sottile linea rossa tra la legalità e l’illegalità. “Ero cresciuto nell’Albergheria e al villaggio Ruffino- racconta Viviano – ma nel mio Dna non c’era scritto ‘rapinatore’, ‘mafioso’ o ‘killer’. Non volevo imboccare nessuna di quelle strade”. E cosi’ e’ stato.
Cameriere, marmista, pellicciaio, muratore, commesso. Poi la svolta, fattorino e telescriventista, quindi giornalista. Attraverso il suo racconto, il lettore rivive gli anni terribili delle guerre di mafia, il maxiprocesso nell’aula bunker dell’Ucciardone, gli omicidi Falcone e Borsellino, le grandi confessioni dei pentiti, l’arresto di Brusca, la caccia al papello di Riina, le prime rivelazioni sulla trattativa tra mafia e Stato.
Racconta anche la sua amicizia con i giudici Paolo Borsellino, con il quale andava in bicicletta, e con Giovanni Falcone, con il quale andava a nuotare. Le sue esperienze lavorative a Lampedusa, Afghanistan Iraq, “in mezzo alle bombe e agli agguati dei talebani”. Il libro si chiude con una postfazione di Attilio Bolzoni, un amico oltre che collega.