Home Nazionale P.a.: Geroldi, costa meno un pensionato che un dipendente al lavoro

P.a.: Geroldi, costa meno un pensionato che un dipendente al lavoro

0

Roma, 26 mar. (Labitalia) – Prepensionare una quota di dipendenti pubblici. E’ l’ipotesi avanzata ieri dal ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, che ad aprile presenterà la sua riforma. Ma quali sono i vantaggi o gli svantaggi per le finanze pubbliche di una simile misura? Per Gianni Geroldi, economista, docente di Economia della previdenza e dei sistemi pensionistici presso l’Università Cattolica di Piacenza (il suo nome è tra quelli che circolano come possibile presidente dell’Inps), “bisogna innanzitutto distinguere tra prepensionamenti con o senza turn over, con o senza, cioè, riassunzione di lavoratori al posto di chi va in pensione”, come spiega a Labitalia.
“Dal punto di vista della valutazione dell’efficacia puramente finanziaria -dice Geroldi- se si manda in pensione anticipatamente rispetto a quanto previsto dalle norme uno stock di lavoratori e contemporaneamente si riassume un pari stock di dipendenti, questa cosa ha un costo perché bisogna anticipare una spesa, quella delle pensioni, non prevista”.
Diverso, invece, se si mandano in pensione i lavoratori senza poi assumere nessuno. La P.a. non paga più stipendi, ma eroga pensioni. “In questo caso bisogna dire che in termini generali – spiega – costa meno un lavoratore in pensione che non uno ‘attivo’. Questo perché un dipendente al lavoro ha un costo diretto (la parte fissa della retribuzione) e un costo indiretto, gli oneri previdenziali. Il che significa che se un lavoratore mi costa 100, a questo devo aggiungere 40 di oneri previdenziali. A fronte di questi 140 spesi, la pensione (che è sempre una parte, anche se piuttosto alta, dello stipendio) sarà 90”.
Ma l’effetto più importante dal punto di vista macroeconomico è l’aumento della produttività. “In Italia -osserva Geroldi- abbiamo circa 3.000.000 di dipendenti pubblici: se a questi togliamo 85.000 come ipotizzato da Cottarelli, togliamo il 2,5% del personale. E se con questa quota in meno, la P.a. fornisce gli stessi servizi, si aumenta la produttività del 2,5%”.
“Queste ovviamente sono valutazioni aggregate -avverte- ma se guardiamo le cose dal punto di vista organizzativo, allora bisogna dire che mettere in circolazione l’idea che prepensionare si può significa dire che questa è una cosa da spendere anche nelle politiche del lavoro, anche privato. E allora potrebbe essere applicata agli esodati, a quei lavoratori in mobilità, a quelli che hanno perso il posto di lavoro”. Insomma, dice, si pone “un problema di equità”.
Geroldi, che è anche membro del Social protection committee (Comitato consultivo per le politiche sociali dell’Unione europea), rassicura comunque sul rapporto tra conti pubblici e pensioni: “Il sistema, dopo la riforma Fornero, è tarato in modo tale che è difficile andare in pensione prima dei 65 anni. Abbiamo applicato le indicazioni europee, cioè innalzamento età pensionabile e no ai prepensionamenti. Questo ci ha consentito di non avere una ‘country specific raccomandation’ dall’Europa”. Come a dire, siamo stati promossi.