Home Nazionale Pediatria: se è la mamma che fa ammalare il figlio, studio Cattolica-Gemelli

Pediatria: se è la mamma che fa ammalare il figlio, studio Cattolica-Gemelli

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Roma, 22 dic. (AdnKronos Salute) – Più spesso di quanto si pensi è la mamma (o più raramente il papà o altri adulti) a ‘far ammalare’ il proprio bambino. Si chiama sindrome di Munchausen per procura, e da uno studio condotto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore- Policlinico universitario Gemelli di Roma è emerso che spesso la patologia resta nascosta e non diagnosticata e che i casi che vengono alla luce potrebbero rappresentare solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più diffuso e doloroso di quanto si pensi. La ricerca è stata pubblicata sul ‘Journal of Child Health Care’.
Nello studio sono stati considerati 751 bambini ricoverati nel Reparto di Pediatria del Gemelli tra fine 2007 e inizio 2010, e quasi nel 2% dei casi è stato individuato un cosiddetto ‘disturbo fittizio’. “Quasi sempre si trattava di disturbi inventati dal bambino stesso – spiegano gli esperti – Ed è chiaro che, quando una simile situazione conduce il piccolo fino a un ricovero, vuol dire che è necessario intervenire per dare una mano concreta al bambino e alla sua famiglia, considerando l’evento come chiara espressione di un disagio che trova nella sindrome la possibilità di esternarsi. Ma non è tutto: in 4 casi sono stati riscontrati i criteri per effettuare la diagnosi di sindrome di Munchausen per procura, cioè è stato un genitore, o entrambi, ad arrecare un danno fisico o psichico al bambino e indurlo a pensare di essere malato. In 3 casi su 4 si è trattato della madre”.
“La sindrome di Munchausen – spiega Pietro Ferrara, coordinatore della ricerca dell’Istituto di Clinica pediatrica dell’Università Cattolica di Roma – è sempre più considerata nella letteratura scientifica come ‘malattia fabbricata da chi si occupa del bambino’, ma è una vera e propria forma di abuso nei confronti dei minori che può portare anche a esiti estremi quali la morte del piccolo. A livello scientifico internazionale la sindrome è ben riconosciuta. Ma in Italia, come d’altra parte in molti Paesi del mondo, si tratta ancora oggi di un fenomeno sottostimato e riconosciuto con difficoltà – avverte l’esperto – tanto che possono passare anche anni prima di giungere alla diagnosi corretta, cioè può trascorrere molto tempo tra la comparsa dei primi sintomi e l’identificazione della malattia, con il rischio evidente di sottoporre il bambino a esami e terapie inutili o addirittura dannosi”.
“E’ importante che – sottolinea Ferrara – quando il pediatra si trova di fronte a sintomi importanti e che durano da molto tempo senza una conferma laboratoristica e strumentale, pensi alla possibilità di questa patologia. Per accorciare i tempi della diagnosi – conclude il pediatra – sarebbe utile avere accesso in rete a informazioni sulla storia clinica del bambino, per esempio quante volte è stato ricoverato in altri ospedali, perché spesso le madri o chi inventa la malattia peregrinano da una struttura all’altra. E’ importante ovviamente, una volta riconosciuta la sindrome – conclude lo specialista – prestare aiuto oltre che al bambino anche alla madre stessa, garantendo un’assistenza psicologica adeguata”.

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