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Roberto Fabbriciani e la metamorfosi della percezione. Musica d’avanguardia e cinema al festival Fulgorazione

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Roberto Fabbriciani e la metamorfosi della percezione. Musica d’avanguardia e cinema al festival Fulgorazione
Oleg Vereshchagin

Raggiungere il piccolo centro di Capolona nelle vicinanze di Arezzo, sul calar della sera tra nubi rosa pastello che si stagliavano in un cielo azzurro creando tonalità di luce e atmosfere degne dei più celebri pittori impressionisti, valeva più di una scommessa. Si trattava di assistere ad un matrimonio apparentemente impossibile, film muti di inizio secolo scorso sul tema della I guerra mondiale, tratti dall’archivio dell’Istituto Luce e commentati da musica d’avanguardia. Il primo incontro con i colori della natura, quei colori che la tecnologia di cento e più anni fa non poteva raccontarci è stato il presagio di una serata felice e di un matrimonio ben consumato e ritualmente celebrato al cine-teatro Fulgorazione sotto gli auspici dell’Illuminato sindaco del luogo, Alberto Ciolfi.

L’evento, che faceva parte non solo del cartellone del Festival ma anche della rassegna Pievi e Castelli in musica 2014, ha avuto come protagonisti il flautista Roberto Fabbriciani e il percussionista Jonathan Faralli che hanno suonato dal vivo insieme a delle basi pre-registrate nel buio della sala di proiezione. Decisamente un azzardo per gli organizzatori, in un piccolo paese non abituato come i grandi centri ad eventi culturali di difficile portata, ma lo sarebbe stato persino per una grande città.

Ma nell’arte si sa bene, chi gioca d’azzardo lancia i dadi molto lontano, dove non tutti possono vedere. E spesso ottiene la sua personale vittoria, prima ancora che al gioco si dia inizio. E fu così che in quel di Capolona si radunò una tale moltitudine di persone che nemmeno il teatro era in grado di accogliere, al punto che dovettero portare delle sedie da aggiungere in fondo alla platea. Per un pubblico pagante e non per semplici curiosi che gratuitamente assistono ad un evento di piazza.

C’era forse da chiedersi se avevano veramente compreso cosa avrebbero assistito e se la loro attenzione sarebbe rimasta immutata nel corso dell’intero programma. Prima delle proiezioni, dopo i rituali discorsi di presentazione, Roberto Fabbriciani ha eseguito, di Carlo de Incontrera “Bus Stop at Penn Station, Postcard to Roberto Fabbriciani”, un brano composto da registrazioni dal vivo effettuate nella stazione newyorkese che interloquivano con  il flauto, un quadro sonoro di pregevole fattura che ricordava esperienze dell’avanguardia del XX secolo. Felice l’accostamento ai film muti poiché in questo brano, contrariamente a quanto chiaramente avveniva negli spezzoni dell’Istituto Luce, della realtà si sentivano i suoni-rumori e non si vedevano le immagini.

Jonathan Faralli ha, subito dopo, eseguito “Interzones” del compositore americano Bruce Hamilton, per vibrafono e nastro magnetico, un brano di estremo virtuosismo portato ai limiti della eseguibilità. Il momento più intenso ed atteso della serata è arrivato con le proiezioni dei video che hanno avuto inizio con “Prove di volo”, un filmato del 1909 che la musica composta da Fabbriciani ha saputo commentare tra il nostalgico e il rumoristico utilizzando, come è sua abitudine, sonorità nuove per il flauto capaci di simulare il rumore dell’elica dell’aeroplano. Il filmato “Il varo dell’Ammiraglia Imperiale Viribus Unitis”, grazie al suono del flauto iperbasso registrato, strumento inventato dallo stesso Fabbriciani, ha fatto vivere ai presenti, insieme agli interventi del flauto e delle percussioni suonate dal vivo, un’intensa emozione che suscitava una immaginazione ben chiara: protagonista era la profondità degli abissi del mare, attuando così una vera e propria metamorfosi della percezione.

La grande nave, da protagonista del filmato, diventava elemento secondario rispetto alle acque che la facevano navigare. Molto interessante il filmato successivo, “Vita in trincee italiane”, costituito da materiale austriaco dove, come recitavano le scritte, “loro” erano i nemici italiani e “le nostre truppe” erano gli austro-ungarici. La musica è stata scritta dal percussionista Faralli che ha saputo evidenziare, con i suoi numerosi strumenti che si libravano su una base registrata, l’aspetto crudele ed angosciante della guerra di trincea. Chiudeva l’evento “1919, Firenze in festa per il Grillo Canterino acclama i reduci mutilati” con la musica di Fabbriciani. Il film rappresentava la gioia dei fiorentini per la famosa festa del grillo a guerra da poco conclusa, giovani in festa e reduci che sfilano, orgogliosi di aver combattuto e sofferto per una patria in cui sicuramente credevano e si riconoscevano.

Vi sono anche immagini riprese nel centro di Firenze, goliardi e giovani che appaiono felici per le strade dopo anni tanto difficili. La musica ha saputo interpretare queste scene in modo mirabile sfruttando, con la base registrata, il flauto e le percussioni, ogni sorta di tecnica del novecento. Dalla tonalità alla politonalità sino ad arrivare ad usare quarti di tono ed elementi atonali, tensione e risoluzione in un unico movimento ciclico e sempre crescente, ricco di aspettative che giungono nel finale quasi liberatorie e si concretizzano in una melodia riproposta in progressione. Una grande poliritmia e un intenso virtuosismo contribuiscono inoltre a rendere questa musica un brano di difficile collocazione rispetto al panorama odierno ma consentono, allo stesso tempo, diverse chiavi di lettura. L’accostamento alle scene è stato a dir poco straordinario, il girotondo dei bambini alle Cascine esprimeva una gioia infinita e la sfilata dei reduci ha saputo coniugare ad un livello molto alto sentimenti come eroismo e commozione, senza dover ricorrere a temi diversi, ma includendo il tutto in una musica che ha un suo valore intrinseco e una sua logica indipendentemente dalle immagini.

Una autentica ovazione, come un fatto ineluttabile, ha accolto l’ultimo sussurro del flauto di Fabbriciani al termine della pellicola. Sembra quasi impossibile pensare che la musica d’avanguardia abbia potuto riempire un teatro di un piccolo paese di un pubblico osannante e felice. Ma questo è veramente accaduto e fa molto riflettere. E i casi sono due: o in scena c’era il flauto di Hamelin e allora era impossibile resistergli, oppure c’è qualcosa che non va nelle solite banali rappresentazioni di musica classica della penisola dove, d’azzardo, poco si gioca. Io posso dire solo che ero presente e sono qui a testimoniarlo. A voi lettori la soluzione del dilemma.