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Zygmunt Bauman in visita ad Arezzo

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Zygmunt Bauman in visita ad Arezzo
Zygmunt Bauman

Zygmunr Bauman è nato a Poznan nel 1925 e ha studiato sociologia e filosofia all’università di Varsavia dove ha insegnato fino al 1968.

In quell’anno ha perso l’insegnamento vittima, lui di origini ebraiche, delle posizioni antisemite delle autorità polacche ed è riparato all’estero. È stato docente di sociologia all’università di Leeds di cui dal 1990 è professore emerito.

I suoi saggi: “Modernità e ambivalenza”, “Modernità e Olocausto”, “Le sfide dell’etica”, “Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone”, “Modernità Liquida”, “La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza”, “L’arte della vita”.

Ricondurre alla ragione il caos del mondo, con tutto ciò che implica un’operazione così ambiziosa: ordinare, classificare, sottoporre a controllo, dissipare le zone d’ombra. Tra i principi portanti della modernità, questa è l’idea-architrave che conteneva un progetto di costruzione sociale e una promessa di felicità. Ma il primo ha lasciato macerie e la seconda non è stata adempiuta. Zygmunt Bauman ha riflettuto sul fallimento di queste pretese misurandole sulla insostenibilità della pretesa iniziale. Perché è l’ambivalenza, non l’univocità, la condizione normale in cui ci tocca vivere.

Pretendere una identità certa, univoca, pensare che siamo antropologicamente così, è un auto-inganno dove finì intrappolata perfino l’intellighenzia ebraica di lingua tedesca quando tentò diverse strategie di assimilazione alle elite dominanti con il solo risultato di venire sterminata da quelle stesse elite.

Combattuta e ostracizzata l’ambivalenza si è presa le sue rivincite, fino a imporsi quale segno distintivo dei nostri tempi. Se la modernità è stata ambiziosamente e, inutilmente, ordinatrice, la post-modernità sembra potersi riconciliare con quanto di precario e imperfetto, in una parola di contingente, appartiene all’esistenza. Sembra essere disposta ad accogliere l’ambivalenza, perfino la liquidità, una società dove i confini e i riferimenti sociali si perdono, i poteri si allontanano dal controllo delle persone e le strutture non hanno più la forza di imporre legami duraturi. In essa tutto è labile: certezze, patti, impegni, amori. L’individuo è nelle formazioni sociali, nazione, famiglia, chiesa, partito, impresa, coppia, in maniera ambivalente e instabile. Questo ovviamente ha il suo risvolto negativo perché preoccuparsi del benessere individuale rischia di spingere nelle braccia del consumismo che è un un’industria della paura che costringe ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusi.